La prima cosa di cui bisogna assicurarsi quando ci si appresta a degustare e valutare un assenzio è l’avere a disposizione tutto il necessario per la preparazione (bicchiere, cucchiaino, acqua ghiacciata) ma anche un buon quantitativo di tempo e possibilmente luce naturale.

Preparativi

Per cominciare si versa l’assenzio nel bicchiere apposito. La dose tipicamente utilizzata per servire un assenzio è pari a 3 cl; ovviamente è possibile utilizzare dosi inferiori, ma un quantitativo di assenzio troppo ridotto presenta il rischio di annacquarlo, oppure di non riuscire a valutare appropriatamente lo sviluppo del louche. Nel caso si voglia necessariamente preparare una dose ridotta si consiglia l’utilizzo di un bicchiere stretto e lungo tipo flûte, in modo che sia comunque possibile valutare lo sviluppo del louche.

Per quanto riguarda i bicchieri da utilizzare per una dose normale, ai fini di una degustazione approfondita o recensione, è preferibile utilizzare bicchieri in cui la base sia liscia e senza motivi. Con bicchieri come i torsade, per esempio, può essere difficile vedere l’effetto delle gocce d’acqua che cadono nell’assenzio e lo sviluppo del louche.

In fase di valutazione del colore (in particolare da puro) può essere utile tenere a portata di mano un foglio bianco da posizionare dietro al bicchiere, in modo da poter osservare il colore senza che sia influenzato dal colore di quello che sta sullo sfondo.

Come si valuta il colore

Anzitutto si deve differenziare tra un assenzio blanche/la bleue ed un verte; se si tratta di un blanche/la bleue il colore è di fatto assente e l’assenzio si presenta trasparente o in alcuni casi giallino. Tradizionalmente la questione colore nei blanche/la bleue è stata affrontata in modo semplicistico assegnando voto pieno a tutti i blanche/la bleue purché fossero trasparenti e non giallini. Per quanto si tratti di un argomento che divide, L’Académie d’Absomphe ha deciso di adottare una linea innovativa assegnando una valutazione minima per i blanche e la bleue. Questa scelta non solo vuole premiare la maggiore completezza dei verte (completezza costosa, visto che si usano erbe addizionali e si subisce una perdita di alcool addizionale, e rischiosa, visto che una colorazione sbagliata può rovinare l’intera partita di assenzio), ma sopratutto ratificare una situazione che è tanto ovvia quanto spinosa per chi si preoccupi del possibile penalizzare gli assenzi blanche e la bleue: si sta valutando il colore di un assenzio e gli assenzi blanche e la bleue non hanno colore.

Veniamo invece ai verte: giudicare il colore di un verte è molto più difficile, a causa dell’infinita varietà di sfumature che può assumere; diciamo che il colore di un verte può variare da un verde “olivina” più o meno saturo ad un foglia morta con varie sfumature di giallo e marrone.
Generalmente si tende a dare voti più alti agli assenzi di colore verde più brillante, ma questo ha portato nel tempo a mistificazioni ed utilizzo di coloranti artificiali o “naturali”. Ci sono poi altri fattori da tenere in considerazione: un assenzio colorato naturalmente diventerà (tranne casi eccezionali o inspiegabili) foglia morta con l’invecchiamento, di conseguenza non ha senso penalizzarlo quando l’invecchiamento è una caratteristica positiva, ed avvantaggiare assenzi immessi sul mercato troppo giovani. Nei trattati storici, inoltre, si trovano spesso riferimenti al fatto che, nella valutazione di un assenzio, il colore foglia morta fosse il più desiderabile in quanto segno di un assenzio maturo ed invecchiato, in contrasto con il colore verde brillante degli assenzi giovani.
La linea guida quindi è questa: è giusto valutare positivamente un assenzio verde brillante, ma bisogna valutare altrettanto positivamente gli assenzi color foglia morta in cui il verde è ben presente ed è “accompagnato” dal giallo e dal marrone, non completamente sopraffatto.
Da penalizzare invece sono i colori verde troppo brillante che sembrano artificiali (o che sono chiaramente artificiali come riportato in etichetta), colori verde troppo deboli (il colore deve essere preferibilmente intenso ma non tanto da faticare a vederci attraverso), oppure troppo gialli.

Diluizione

A questo punto si inizia a versare l’acqua ghiacciata nell’assenzio, possibilmente con una fontana. Un esperto bevitore di assenzio è in grado di versare acqua in modo appropriato da una caraffa a mano libera, ma per un novizio è consigliabile l’utilizzo di qualche strumento in modo da evitare di versare l’acqua troppo rapidamente.
Un punto su cui gli esperti sono divisi è zucchero sì o zucchero no?
Storicamente l’assenzio è stato consumato con un ampio spettro di opzioni che andavano da niente zucchero fino a quattro o cinque zollette una sopra l’altra sul cucchiaino. Si tratta di una preferenza personale quindi, nonostante vari bevitori di assenzio abbiano assunto l’atteggiamento che “lo zucchero è da novellini”, la realtà è che chiunque dovrebbe bere l’assenzio nel modo che preferisce, con o senza zucchero, con un quarto di zolletta, mezza zolletta, zolletta intera, etc…
In questa sede è però importante distinguere tra bere un assenzio per piacere, ed in tal caso la preparazione può essere meno meticolosa, e degustare od analizzare un assenzio ai fini di una recensione. Quando si degusta od analizza un assenzio, il mio consiglio è di prepararlo senza zucchero, o se proprio di utilizzare una quantità minima, come un quarto di zolletta non mescolato.
Se è vero che un assenzio può essere reso più gradevole dalla presenza di zucchero (e storicamente la maggior parte dei bevitori di assenzio usava zucchero, da cui la nascita di appositi cucchiaini), se si vuole valutare approfonditamente il profilo aromatico di un assenzio lo zucchero può invece nuocere, andando a coprire alcune note aromatiche oppure esaltandone altre.

Torniamo dunque alla diluizione. Prima di iniziare a versare l’acqua bisogna annusare l’assenzio nel bicchiere.
Per quanto riguarda l’aroma da puro, il massimo dei voti deve essere dato ad un assenzio che presenta un profumo intenso e complesso (assenzio, anice o altre erbe) in cui l’alcool non è dominante (meno si sente l’alcool, più il voto si alza), e che si può percepire anche senza avvicinare il naso al bicchiere ma già solo versandolo (tipica caratteristica dei vintage e di pochi assenzi moderni di qualità eccezionale).
Da penalizzare fortemente, invece, un assenzio il cui profumo è debole e bisogna avvicinare il naso al bicchiere per percepirlo (più è debole più si penalizza), oppure in cui l’alcool è così forte da causare bruciore nelle narici (è normale percepire dell’alcool quando l’assenzio è puro per via dell’alta gradazione, ma l’alcool non deve essere superiore all’aroma delle erbe). Sempre da penalizzare, ma lievemente, quando il profumo delle erbe è evidente ma monotematico, per esempio si può notare solo la melissa, o scorza d’arancia, o un qualunque ingrediente.
Si inizia a questo punto a versare l’acqua e si va a valutare una delle proprietà più caratterizzanti dell’assenzio, il louche.

Louche

Per quanto riguarda lo sviluppo del louche il modello di perfezione è quello in cui le prime 3-4 gocce non formano nulla, poi si vedono le “oil trails” e successivamente il louche si sviluppa salendo dal fondo come nubi o densa bruma autunnale; infine si forma un netto “top layer” (per la nomenclatura tecnica vedere www.assenzioitalia.it/glossario-termini-abbreviazioni).
Da penalizzare un louche che si sviluppa troppo rapidamente e “di botto” come i pastis, o un louche che si sviluppa troppo lento ed invece che partire dal fondo si presenta come un generico intorbidimento dell’intero bicchiere di assenzio.

Per quanto riguardo l’aspetto visivo, Il risultato perfetto è quello di un assenzio lattiginoso. Ovviamente è difficile quantificare “quanto lattiginoso” deve essere, ma come linea guida si può dire che se si pone un cucchianino da assenzio nel bicchiere non si deve vedere. Da penalizzare un louche troppo sottile, in cui si vede la sagoma del cucchiaino nel bicchiere. Ovviamente il louche, come del resto le altre caratteristiche, vanno valutate anche in base allo stile di assenzio. Per esempio un assenzio di stile Pontarlier è semplice nella ricetta, erbaceo e con louche denso. Assenzi invece di stile floreale e femminile avranno sempre un louche più delicato in virtù del delicato e complesso bouquet di aromi. Sebbene un louche non molto pieno non meriterà mai un voto massimo, di certo andrà penalizzato maggiormente se si trova in un assenzio di stile Pontarlier piuttosto che in uno di stile floreale.
Altra caratteristica apprezzabile è quando si alza il bicchiere colmo di assenzio verso una sorgente di luce, lo si inclina leggermente (facendo attenzione a non rovesciarlo) e la parte di assenzio attraverso cui filtra la luce assume un colore arancione opale.
Dopo aver osservato è valutato l’evoluzione del louche, si torna ad osservare il colore ed il profumo dell’assenzio, ora completamente diluito.
Anzitutto si valuta il “colore post diluizione”: si confronta il colore dell’assenzio dopo la diluizione con quello dell’assenzio puro.
È auspicabile osservare un assenzio che mantiene in linea di massima il colore che ha da puro, o in cui le note verdi si accentuano di più dopo la diluizione (questo è il caso con alcuno assenzi vintage, da puri si presentano con un marrone tipo cognac senza alcuna sfumatura di verde, ma dopo l’aggiunta dell’acqua si trasformano in foglia morta).
Da penalizzare invece gli assenzi che perdono vivacità di colore, assumono toni smorzati o grigiastri dopo la diluizione.
Dopo il colore post-diluizione, si va ad affrontare uno degli aspetti più importanti nella valutazione di un assenzio, l’aroma.

Aroma

Durante l’aggiunta di acqua gli olii essenziali precipitano, di conseguenza il risultato auspicabile per l’aroma di un assenzio diluito è che si “apra” ed il profumo diventi più complesso di quanto non fosse da puro, con la comparsa di alcune note che non si percepivano in precedenza e variazioni su quelle già presenti.
È consigliabile, se possibile, annusare ripetutamente l’assenzio DURANTE la diluizione, per poter seguire l’evoluzione del profumo da puro a diluito.
Da penalizzare fortemente quando, anche dopo l’aggiunta di acqua, l’odore di alcool è ancora presente, e lievemente quando il profumo non diventa più complesso ma resta lo stesso.
A questo punto si passa ad assaggiare l’assenzio. Ci sono due aspetti che vengono valutati: la consistenza al palato ed il profilo aromatico, o più comunemente il sapore.

La consistenza

La consistenza non è legata all’aspetto dell’assenzio quanto piuttosto alle sensazioni che restituisce al palato. Non stiamo parlando di sapori o note aromatiche ma della sensazione di spessore, morbidezza, densità e cremosità che sono solitamente legate al louche ed al quantitativo di olii essenziali di anice e finocchio presenti nell’assenzio.
Da premiare sono gli assenzi che in bocca si presentano cremosi e vellutati, morbidi, densi, o quantomeno di medio spessore. Il louche e la consistenza sono anche in questo caso da valutare tenendo in considerazione le stile dell’assenzio che si sta valutando: un assenzio di tipo Pontarlier che in bocca risulta sottile e acquoso andrà penalizzato di più di un assenzio femminile e floreale che presenta la stessa consistenza. In generale comunque vanno penalizzati assenzi che in bocca danno l’impressione di bere acqua aromatizzata; è importante che un assenzio abbia un minimo di spessore.
Un buon assenzio cremoso e denso lascia solitamente la lingua molto leggermente anestetizzata dopo averlo tenuto in bocca per qualche attimo, è normale ed anzi da ricercare. Tuttavia se l’assenzio in questione da la sensazione di lasciare uno strato oleoso sulla lingua, od impedisce di percepire altri aromi per diversi minuti con una sensazione fastidiosa, c’è la probabilità che si tratti di un assenzio prodotto con essenze, surrogato, o di un assenzio con troppo anice stellato, e queste sono caratteristiche da penalizzare.

Profilo aromatico

Questo è il parametro più difficile da valutare perché è pesantemente influenzato dal gusto soggettivo, quindi lo stesso assenzio può prendere un voto alto da una persona e basso da un altra, mentre per esempio se un assenzio è di un bel verde avrà sempre buoni voti nella categoria colore.
Ciò posto, ci sono alcune caratteristiche oggettive che possono guidare il giudizio e di cui (idealmente) si dovrebbe tenere conto anche se il sapore in sé dell’assenzio non ci piace, e che (se positive) agiscono da attenuanti sul voto dato.

Difetti: Anzitutto si vanno a cercare difetti di produzione. Il difetto più grave (ma purtroppo anche più comune) nella produzione di assenzio è la contaminazione di code. Le code di assenzio contengono frazioni aromatiche molto sgradevoli, e talmente potenti che un piccolo quantitativo può contaminare un’intera partita di assenzio. Ovviamente è difficile identificare le code di assenzio senza averle mai assaggiate, ed una descrizione è particolarmente ardua. Volendo tentare si potrebbe dire che le code vengono spesso descritte con un sapore acre, oppure di cartone bagnato, o ancora di verdura cotta. Volendo essere particolarmente accurati, sarebbe necessario procurarsi un campione di code da un distillatore, in modo da poter avere un termine di paragone quando si degusta un assenzio.
Il secondo difetto più comune che si può riscontrare nella produzione di assenzio è un’errata colorazione. Questo di solito si nota ancora prima di diluire l’assenzio mentre si valuta il colore, una colorazione insufficiente si presenterà con un colore delicatissimo, mentre una colorazione eccessiva si presenterà con un verde torbido è troppo scuro.
Al palato però si possono scoprire altri errori di colorazione, spesso molto più gravi. Un esempio è se l’assenzio al palato risulta amaro. L’assenzio non dovrebbe mai essere amaro, perché se prodotto come si deve, le sostanze amare dell’artemisia absintina vengono separate e scartate con i rimasugli nell’alambicco. Una nota amara nell’assenzio (tranne casi rarissimi) risulta solitamente dall’utilizzo errato di artemisia absintihium nella colorazione, oppure da un utilizzo eccessivo di artemisia pontica.
Un altro problema nasce quando le erbe di colorazione vengono lasciate in infusione troppo a lungo, donando così al l’assenzio delle note aromatiche come di tisana.
È altresì facile capire se un assenzio è troppo giovane ed è stato imbottigliato e venduto senza dovuto invecchiamento se le erbe di colorazione sono in primo piano, offuscano totalmente l’anice, il finocchio e l’artemisia absintihum. Questo non si tratta di un errore vero e proprio, in quanto l’assenzio dopo il dovuto invecchiamento può essere anche molto buono, ma allo stesso tempo si tratta di un fattore decisamente negativo, visto che come per la grappa, il vino o i sigari, l’assenzio ha bisogno di un certo invecchiamento minimo (4-6 mesi) per raggiungere la maturità e relativa stabilità del profilo aromatico.

Alcool: meno si sente l’alcool, più alto è il voto. Ovviamente bisogna tenere conto che se si parte da un assenzio a 72°, a meno che non ci si addentri in complessi calcoli di diluizione con tanto di contrazioni, si tenderà ad avere un risultato finale a gradazione leggermente più alta rispetto a quando si parte da un assenzio a 53°. Idealmente l’alcool deve essere il più morbido e discreto possibile, senza causare bruciore sulla lingua. L’Alcool di base può essere neutro o alcool di diversa provenienza (solitamente alcool di vino) con un suo aroma ben preciso. Nel caso si tratto di alcool di vino (o comunque non neutro), oltre alla morbidezza bisogna anche valutare l’apporto aromatico: si deve premiare un assenzio con un alcool di base che va a completare le note aromatiche delle erbe aggiungendo note di brandy e cognac, note fruttate, etc. Va invece penalizzato un alcool di base dall’aroma così intenso che finisce con il sovrastare completamente le mote aromatiche delle erbe. Un assenzio deve avere sapore di assenzio, e non di grappa alle erbe.

Bilanciamento: le varie note di sapore date dalle erbe devono essere in equilibrio, questo non vuol dire che debbano necessariamente essere tutte allo stesso livello; ci possono essere delle note “di testa” che spiccano, note di livello intermedio e quelle che fanno da sfondo. Le note di testa però devono essere una o se più di una devono completarsi e bilanciarsi a dovere, non essere un ammasso informe di note che fanno “a cazzotti” per prevalere, o che stonano insieme. Questo è un aspetto che è molto difficile spiegare a parole, e che richiede molta pratica per essere affinato. Molto utile in questa fase è (specialmente all’inizio) l’acquistare le erbe classiche utilizzate nella produzione di assenzio (artemisia absinthium, anice verde, finocchio, artemisia pontica, melissa, issopo, calamo aromatico, menta, coriandolo, camomilla, etc) ed averle vicine durante la degustazione, in modo da confrontare il profumo delle erbe con i sapori che si individuano nell’assenzio.

“Holy trinity”: un assenzio per chiamarsi tale deve contenere artemisia absinthium, anice verde e finocchio, questi sono gli elementi imprescindibili. Ci possono essere assenzi in cui altre note aromatiche possono essere allo stesso livello di intensità o addirittura leggermente predominanti, ma un assenzio non può mancare completamente dell’aroma della “holy trinity”, e anche se sono stati utilizzati nella distillazione ma non si sentono (o si sentono pochissimo) è da penalizzare. In parole povere si può dire che un assenzio, per quanto atipico, deve “sapere di assenzio”.

Pertinenza aromatica: gli aromi che si possono utilizzare in un assenzio sono quasi illimitati, la bravura sta però nel unirli sapientemente, come note in una canzone. Ci sono alcune note aromatiche che palesemente “stonano” se messe insieme, o altre che semplicemente non si addicono ad un assenzio (alcune spezie, verdure, etc). Questo è un altro parametro che richiede esperienza, però se nel bere un assenzio si ha l’impressione che ci sia qualcosa che non va bene, senza sapere cos’è, probabilmente si tratta di questo.

Permanenza aromatica

Per quanto riguarda invece la permanenza aromatica, si tratta di una parametro piuttosto semplice: più gli aromi restano nel palato dopo aver inghiottito il sorso di assenzio, più alto è il voto. Non esiste un tempo standard, ma gli aromi dovrebbero restare sulla lingua per almeno una manciata di secondi, nei migliori casi anche per vari minuti. Da penalizzare invece assenzi il cui aroma svanisce istantaneamente dopo aver inghiottito il sorso, e che danno l’impressione di aver bevuto acqua invece che assenzio.

Anche dopo aver finito il bicchiere, si possono ricavare delle informazioni rilevanti. Per esempio annusando il bicchiere dopo 10-15 minuti che si ha finito l’assenzio, se l’assenzio era afflitto da una lieve contaminazione di coda che magari era passata inosservata al olfatto e al palato precedentemente, la sua presenza sarà rivelata nell’odore che si sprigiona dal fondo del bicchiere. Allo stesso tempo invece, un grande assenzio della massima qualità continuerà a rilasciare il suo aroma per lungo tempo dal fondo del bicchiere.

Queste sono le linee guida per affrontare con successo la degustazione di un assenzio. È chiaro che anche un esperto non sempre si scervella per valutare ogni singolo parametro di ogni assenzio che beve. Come per un buon sigaro, a volte ci si rilassa e ci si gode un buon bicchiere di assenzio senza pensare troppo. Allo stesso tempo, essendo a conoscenza di quali sono le caratteristiche desiderabili di un assenzio (al di là del ovvio utilizzo in sede di degustazione o recensione) è possibile apprezzare più a pieno la bontà di un prodotto, individuarne i pregi, rendendo l’esperienza della bevuta di una bicchiere di assenzio più godibile.