Le prime anille sugli “habanos” della metà del xix secolo.

Il collezionismo, si sa, è un hobby che consiste nella raccolta di oggetti di una particolare categoria, una passione dal carattere “universale”, poiché non conosce limiti sul “cosa” possa diventare il centro dell’interesse del collezionista, spaziando dai “temi” più “classici” e per loro natura più preziosi (francobolli, monete, libri e manufatti antichi) a quelli più curiosi e stravaganti. Certo è che il valore “venale” non è sufficiente a qualificare una collezione: dal punto di vista degli elementi intrinsechi, qualsiasi oggetto presenta caratteristiche “importanti”, quali aspetti artistici o storico antropologici che contribuiscono a determinare l’eccezionalità di una raccolta. Nella caleidoscopica varietà del mondo del collezionismo, occupano un loro spazio anche le anille, ossia le fascette di carta litografata che si collocano sul sigaro per identificarne la marca. Le loro prime applicazioni risalgono alla metà dell’800: luogo di nascita, Cuba. All’epoca, quando erano già più di duecento le manifatture di tabacco ufficialmente operanti in quel Paese, fu registrato il primo marchio non di proprietà ispanico-cubana da parte di un olandese innamorato dell’isola, Gustave Bock, al quale si fa risalire l’invenzione dell’anilla. Colorate e artistiche, le fascette attorno al sigaro diventarono da subito una specie di “firma” della marca di ciascun habanos. Le bande rappresentavano in modo veramente artistico, quasi come vere e proprie miniature raffiguranti simbologie tipiche di Cuba, città e paesaggi dell’isola, campagne e paesi, fiori e piante, ma anche re e monarchi, capi di stato, presidenti, artisti e poeti, opere d’arte (quelle odierne invece sono molto più semplici, portano di solito il marchio della brands e per i puros cubani la scritta sempre presente “Habana”, unica cosa non permessa a tutte le marche parallele). La fascia da sigaro inventata da Bock si presentò come una delle strategie di marketing più efficace di quei tempi per la vendita di quel prodotto. Fino alla comparsa delle anille, infatti, sulle quali erano stampati il marchio dell’azienda manufattrice ed il marchio dei sigari, non c’era nessuna identificazione personale che distinguesse i prodotti oltre alle scritte sulle scatole o sui sacchi di cuoio, e una volta venduti se ne perdeva definitivamente l’origine. L’intenzione di Bock, con l’idea della fascetta, era di sviluppare nei consumatori il gusto riconducibile al proprio marchio preferito: grazie all’anilla, il produttore poteva abituare il consumatore al nome del suo prodotto e con grande probabilità contare che rimanesse leale alla marca. In realtà, esistono numerose storie e leggende che attribuiscono l’invenzione della fascia per il sigaro ad una moltitudine di persone. Ma tutte queste storie sono basate su di un falso presupposto, e cioè che le fascette siano state introdotte originariamente per proteggere i guanti dalle macchie di nicotina del tabacco. Secondo alcuni, l’invenzione sarebbe da attribuire nientemeno che alla zarina Caterina II di Russia, la quale aveva un debole per i sigari e che per non macchiare i suoi guanti bianchi, si presume li avvolgesse in panni di seta. Altri hanno assegnato l’onore ai dandy di Londra, che per lo stesso motivo di Caterina II avvolgevano l’estremità dei loro sigari in pezzi di carta. In effetti, in origine l’anello veniva mantenuto mentre si fumava proprio allo scopo di non macchiare i guanti: per i fumatori di oggi, la decisione se toglierlo o meno è una questione del tutto personale: solo in Inghilterra (strano a dirsi!), fumare con l’anello è considerato cattiva forma poiché si presume che il fumatore voglia pubblicizzare la marca del proprio sigaro. L’esplosione di fantasia artistica che accompagnò fin dall’inizio l’applicazione delle fascette, stimolò presto la corsa ad accaparrarsi quelle colorate miniature. Oggi, è soprattutto in Belgio, Olanda e Inghilterra che si trovano gli amatori più “ricchi”, le cui collezioni contano tra i cento e i duecento mila articoli. Tra i più ambiti si annoverano i Montecristo, i Dalia 898 Varnished, il Robusto, il Partagas, il D4.
Ma come si valuta una collezione di questo tipo? Per i collezionisti “veri”, il valore delle anille è inversamente proporzionale al valore del sigaro: più il sigaro è prestigioso, meno importante è la fascetta. Il massimo della soddisfazione consiste nel possedere più serie complete: a meno che non si giunga in possesso del “diamante nero” del genere, ossia di una delle fascette passate tra le dita di Vladimir Ulianov Lenin che, sfuggito alle persecuzioni zariste dei primi del Novecento, fu per qualche tempo “torcedor” nel retrobottega del tabaccaio Davidoff a Ginevra. E per tutti gli appassionati del genere, d’obbligo un viaggio a New York dove, nientemeno che al Metropolitan Museum of Arts è conservata una tra le più ricche ed esclusive collezioni di fascette fino ad oggi conosciute.

La misura della fascetta corrisponde al “ring gauge” (diametro) del sigaro,
grande (52-46 inches),
medio (45-40 inches),
piccolo (39-26 inches)

 

 

 

Fonte: Tutto Tabacco