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Le nuove aziende produttrici di sigari di Kentucky, affacciatesi sul mercato italiano negli ultimi anni, hanno portato a una differenziazione di gamma notevole rispetto al “solo” sigaro toscano (inteso come marchio, oggi di proprietà MST, ma anch’esso soggetto a cambi di proprietà tra la fine del 1900 e i primi anni 2000). Questo ha dapprima modificato l’approccio di conservazione e, in alcuni casi, si sono perse di vista le esigenze che il sigaro di Kentucky ha, soprattutto se il tabacco utilizzato è di alta qualità. In tempi recenti, il popolo fumoso del web ha sollevato problemi di diversa natura, inclusi difetti di combustione, tiraggio, colorazione anomala della cenere etc., dovuti non tanto a difetti intrinseci dei sigari, quanto piuttosto a nuove (o riscoperte) caratteristiche specifiche di alcuni prodotti, che richiedono più attenzione in fase di conservazione e fruizione.

Pertanto quattro importanti gruppi di divulgazione, tra cui due blog (Cigar Blog e GustoTabacco) un forum (Compagnia del Tabacco) e il canale YouTube di Douglas Mortimer hanno deciso di collaborare per fornire al proprio pubblico un “decalogo” di regole condivise per la corretta conservazione e fruizione dei sigari di Kentucky, soprattutto quelli di alta qualità.

I sigari toscani (ivi intesi anche come sigari di concezione italiana, fatti di tabacco Kentucky) sono stati per decenni considerati sigari popolari, e in quanto tali fino a una decina di anni fa non si è sentito il bisogno di dare a chicchessia alcun consiglio particolare in tema di gestione e conservazione. Si è sempre ritenuto che i sigari toscani, essendo autoctoni, necessitassero di meno accortezze rispetto ai caraibici, per i quali Davidoff aveva inventato l’humidor; per secoli, il consiglio è stato generico: conservate i toscani in luogo fresco, asciutto e al riparo dalla luce. Come la farina, in soldoni. Un aspetto interessante è che si è sempre cercato di evitare che i sigari fossero troppo umidi, piuttosto che troppo secchi, all’opposto dei sigari caraibici: molti fumatori ricorderanno Bud Spencer rigirare tra le dita un sigaro all’orecchio proclamando che “un toscano che non canta è come un Chianti che non profuma”.

Negli ultimi dieci anni, per vari motivi che non è il caso di indagare ora, si è imposta la tendenza a conservare i toscani in humidor, talvolta a umidità piuttosto elevata. Se questo genere di conservazione non crea particolari problemi ai toscani prodotti con tabacco di grado medioleggero (ossia con un tessuto fogliare non molto spesso, e quindi astrattamente più simile a quello del tabacco avanense), quelli composti di tabacchi più ricchi e spessi, che sono poi anche quelli qualitativamente migliori, soffrono le eccessive umidità, così come gli sbalzi.
Il motivo, spiegato in poche parole è il seguente: una struttura cellulare e un parenchima fogliare sottili e meno ricchi di nutrienti possono richiamare e trattenere meno acqua, rispetto a una struttura più spessa e più ricca di elementi, quindi più igroscopica e capace di incamerare più acqua, anche per fenomeni osmotici oltre che volumetricamente. Va da sé che il maggior contenuto di acqua modifica i punti di combustione, abbassando, a volte oltremisura, il LHV (potere calorifico inferiore) del tabacco più igroscopico, fino al punto in cui tutta l’energia generata in combustione è “spesa” per evaporare l’acqua presente. Questo punto segna inesorabilmente l’autospegnimento del sigaro. Questo contributo, preparato a più mani, nasce con lo scopo di fornire alcune indicazioni di massima per la conservazione di tutti i sigari di Kentucky, indipendentemente dalla marca.

Diversamente da gran parte dei tabacchi caraibici, il Kentucky è un tabacco generalmente spesso e ricco di oli e resine, con una combustione meno rapida. Dacciò consegue che molti consigli che generalmente vengono dati ai fumatori di caraibici non valgono per i fumatori di toscani. Si pensi, ad esempio, alla quantità di cenere da tenere durante la fumata: se per i caraibici una quantità di cenere relativamente abbondante può essere utile per regolare la combustione, rallentandola, ecco che per il Kentucky tenerne troppa è controproducente per lo stesso motivo. In altre parole, più il tabacco che compone un sigaro è ricco e spesso, meno ha bisogno che la combustione rallenti, anzi! È consigliabile, insomma, non tenere più di un centimetro di cenere durante la fumata.
Allo stesso modo, per quanto concerne l’umidità, più ricco è il tabacco impiegato, minore dovrà essere la UR di conservazione.

Volendo dare un’indicazione di massima, consigliamo tra il 50% e il 60% di UR.

Entrando nello specifico, procederemo a punti.

  1. Dopo l’acquisto, è sempre consigliabile rimuovere i sigari dalla loro confezione e riporli in ambiente controllato. Questo vale in modo particolare per i sigari composti di tabacchi più spessi e ricchi, mentre i sigari di gradi leggeri sono più versatili da questo punto di vista.
  2. Salvo che si intenda conservare i sigari per anni, è consigliabile eliminare il cellophane, se presente.
  3. Mai lasciare genericamente “fuori humidor” i sigari. Un barattolo, una giara o un humidor andranno bene: per quanto concerne quest’ultimo, spesso ci si dimentica che può essere adoperato tanto per garantire una UR di conservazione più elevata rispetto a quella ambientale, tanto una UR più bassa. Spiegheremo a breve come.
  4. È sempre consigliabile lasciare acclimatare in ambiente controllato i sigari dopo l’acquisto. In genere, 4/5 giorni sono sufficienti. Questo consiglio è valido in modo particolare per i sigari più qualitativi, composti di tabacchi più ricchi e spessi.

Esiste una variabile importante: il tabaccaio!

I rivenditori più accorti non conservano i sigari a scaffale, bensì in humidor, ma questo può anche generare dei problemi. Se, infatti, un sigaro relativamente secco può essere fumato anche subito, uno troppo umido necessiterà di acclimatarsi. Inoltre, il tempo di permanenza nelle tabaccherie spesso non è sufficiente a far assestare i sigari, stressati dal trasporto. I vecchi fumatori acquistavano spesso una certa quantità di sigari per dar loro il tempo di assestarsi; alcuni anziani rivenditori addirittura tenevano le proprie riserve, in modo da vendere ai clienti più importanti i sigari migliori: oggi questo non è sempre possibile ed è quindi meglio provvedere a casa propria.

Prima di vedere nello specifico come ottenere e mantenere le giuste condizioni di conservazione, vale la pena di soffermarsi brevemente su un altro aspetto: come capire quando un sigaro è pronto da fumare? Posto che, come già accennato, i sigari composti di tabacchi di grado leggero sono più versatili, ci sono alcuni indicatori generali che possono aiutarci.

  1. Un sigaro che si presenta con la fascia troppo lucida e oleosa è probabilmente troppo umido. Facilmente risulterà anche morbido al tatto.
  2. Un sigaro che, rigirato tra le dita, non emette il minimo rumore probabilmente è troppo umido, meglio attendere che risulti relativamente duro e legnoso.
  3. Un sigaro con il tiraggio a crudo costretto, può essere umido: piuttosto che provare a fumarlo, conviene sempre provare a farlo assestare meglio.
  4. Un sigaro che in fumata brucia in modo stentato e produce cenere molto scura, in assenza di gusti spiacevoli, è probabilmente troppo umido. A questo riguardo, vale la pena ricordare che il colore della cenere, da solo, non significa null’altro che questo.

Per quanto concerne le modalità di conservazione, ci sono essenzialmente due modi di mantenere le corrette condizioni di umidità: uno tradizionale e uno più moderno.

Partiamo dal sistema tradizionale.
Ricordando che i sigari non vanno tenuti genericamente fuori per troppo tempo, riponiamoli privi di cellophane in un contenitore (barattolo, giara o humidor), ma senza alcun elemento umidificante. In gran parte del territorio italiano l’umidità ambientale è adeguata alla conservazione, ma va detto che, specialmente in inverno, il riscaldamento o il condizionamento dell’aria delle case può creare problemi. Per questo motivo, è meglio tenere i sigari in un recipiente, al riparo da eventuali sbalzi. Va da sé che per aumentare il grado di umidità basta adoperare un sistema di umidificazione come si fa coi caraibici: i vecchi solevano farlo alitando nel recipiente e questo sistema, ancorché naif, funziona anche oggi. Di contro, per diminuire l’umidità dei sigari in modo graduale (sbalzi bruschi sono infatti da evitare), sarà sufficiente aprire il contenitore periodicamente (anche una volta al giorno) per cambiare aria: in periodi di elevata umidità, è consigliabile forzare il ricambio d’aria soffiandovi dentro energicamente, oppure con due colpi di phon ad aria fredda.

In alternativa, ci sono altri sistemi, di cui, grazie all’evoluzione tecnologica anche nel campo di conservazione e di umidificazione controllata, possiamo beneficiare a prezzi più che ragionevoli. Benché vi siano alcuni sistemi validi, da pochi anni esiste un sistema che risulta essere il più efficace, e anche il più economico: il sistema Boveda che risulta particolarmente utile nelle zone in cui l’umidità naturale è troppo elevata o troppo ridotta. Come accennato, l’humidor, o i suoi surrogati (barattoli, giare etc), non sono di per se “il male” nella conservazione del Kentucky, bisogna solo usare questi “microambienti controllati” nel modo giusto. La ditta Boveda è specializzata nell’umidificazione bidirezionale (per cedere umidità quando è in difetto e assorbirne quando è in eccesso), per i più disparati usi, inclusa la conservazione dei sigari, ma anche di strumenti musicali, farmaci, elettronica, cibo e quant’altro richieda una umidità costante. Si tratta di gel brevettati, racchiusi in appositi packs porosi, che mantengono un tasso di umidità preciso e ripristinano velocemente il giusto tasso in caso di sbalzi. A differenza di altri sistemi, possono essere messi a contatto diretto coi sigari senza generare problemi di muffe o altro. La ditta consiglia per i sigari i packs da 65, 69, 72 e 75% di umidità, inoltre vende quelli a 84% per il condizionamento di humidor nuovi. Come abbiamo detto, il range di UR è troppo elevato per il Kentucky, esistono però altre categorie di prodotti Boveda, per erboristeria e per strumenti musicali, che possono fare al caso nostro. Si trovano infatti i sacchetti al 62, 58 e 49% di RH, fino a poco tempo fa erano disponibili anche i 52%. Oltre alla precisione, velocità di regolazione dell’umidità, e costo contenuto, i Boveda si possono anche rigenerare praticamente all’infinito. Si consiglia l’acquisto di packs in quantità doppia rispetto alla reale necessità, in modo da ruotare i sacchetti (quando mettete quelli “scarichi” a rigenerare, inserite quelli già ricaricati).

Oltre alla conservazione, è fondamentale una buona accensione per godere appieno della qualità di un sigaro di Kentucky e per evitare difetti di combustione. Più il Kentucky è di qualità elevata, più lenta e graduale deve essere l’accensione. Per accendere un Nerone o una Spingarda (per prendere due esempi di sigari di qualità con diametro importante al piede) ci possono volere fino a 3 minuti. L’accensione deve essere lenta e discontinua, facendo un giro di fiamma sul piede per una decina di secondi, lasciando poi riposare il sigaro per altrettanto tempo, successivamente ripetere l’operazione a più riprese, fino a quando il sigaro non “fuma da solo” ovvero non abbiamo un completo anello di brace che emana fumo senza dover tirare.

Va da sé che se un sigaro è igroscopico e risente dell’umidità in conservazione, ne risente anche in fumata: pertanto è buona norma evitare di fumare sigari di alta qualità in condizioni ambientali di elevata umidità atmosferica. Del resto, un buon prodotto non è sempre anche un prodotto versatile. Così come un vino rosso di razza va ossigenato e servito ad una determinata temperatura, in un bicchiere idoneo e vanno evitati certi abbinamenti, per poterlo apprezzare nella sua pienezza, allo stesso modo un sigaro di alta qualità va fumato con tutte le accortezze necessarie per metterlo nelle condizioni di esprimere al massimo le sue potenzialità.

Infine, oltre una buona conservazione, accensione, e condizioni ambientali di fumata, è necessaria una buona tecnica di fumata, con la giusta cadenza evitando di surriscaldare i sigari o di lasciarli spegnere spesso. Purtroppo non c’è una regola universale che indica per tutti i sigari un intervallo di secondi tra un puff e l’altro. L’intensità e la cadenza di tiraggio vanno adattati a ciascun prodotto, ed è per questo che i sigari di altissima qualità, nel mondo del kentucky, richiedono una esperienza elevata del fumatore, forse ancora di più che nel mondo del sigaro caraibico.

In conclusione, un ultimo consiglio.

Una fumata insoddisfacente può alle volte dipendere dal sigaro, specialmente quando l’insoddisfazione è legata al gusto e, quindi, semplicemente non ci piace. Assai più spesso, però, il sigaro non c’entra e il problema dipende da altri fattori che vale la pena indagare: la conservazione è spesso la prima indiziata.

Buone fumate!

da sinistra: Maurizio, Daniele, Simone e Fabio

Pubblicazione condivisa a cura di

Maurizio Capuano (Forum La Compagnia del Tabacco)

Simone Fazio (CigarBlog)

Douglas Mortimer

io… Daniele Vallesi (Gusto Tabacco)

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