scacchi whisky sigaro

Il termine “narrazione”, in riferimento ai sigari, è stato adoperato da Luigi Ferri nel corso di un proficuo scambio di opinioni col sottoscritto: in quell’occasione, mi sono accorto che questa sua espressione, meglio di altre, identifica l’obiettivo che assumo quando scrivo di sigari e tabacchi in generale. Così, dopo aver parlato del valore delle preferenze personali, dell’analisi e della conseguente valutazione, in questo contributo passo alla prima persona per esplicitare il mio modo di narrare il sigaro, tanto in ottica espressiva quanto in ottica valutativa.

Il titolo era già bell’e pronto.

Nonostante io abbia iniziato a fumare ormai quasi vent’anni fa e dedichi parte del mio tempo ad approfondire tematiche legate al tabacco da una decina d’anni, solo nel 2015, su impulso di Daniele, ho deciso di mettermi in gioco scrivendo recensioni.

Per me, tuttavia era impensabile scrivere in modo ingenuo, affidandomi solo al mio gusto: sentivo, al contrario, il bisogno di individuare prima di tutto un metodo di analisi e valutazione rigoroso e, non meno importante, una modalità espressiva che rendesse i miei scritti comprensibili a tutti.

Ho sempre ritenuto eccessivo, troppo pomposo e, talvolta, falsamente tecnico il linguaggio di taluni sedicenti degustatori: per indole, ho sempre creduto nel primato dell’espressione sulla descrizione e si trattava, appunto, di trovare una via per narrare, prima ancora di valutare, il sigaro e dar conto della sua resa in fumata.

Per quanto concerne la scrittura, ho deciso di individuare alcuni perni concettuali a partire dai quali poter adottare un linguaggio non meramente descrittivo da un lato, sufficientemente rigoroso e comprensibile dall’altro.

S’intende che questo è solo il mio modo: non è assolutamente l’unico corretto, né il migliore. Di certo, però, non è casuale, bensì adottato consapevolmente.

Il primo punto fermo è che i sapori si avvertono in bocca e ne considero solo quattro: salato, dolce, amaro, acido. Tralascio l’umami, piuttosto raro in un sigaro e comunque sconosciuto alla gran parte dei lettori.

Il secondo punto fermo è che i profumi (odori) si avvertono al naso, perlopiù a crudo, e sono tanti quanti la nostra memoria olfattiva ne conserva.

Il terzo punto fermo è che gli aromi sono dati, per così dire, dalla combinazione di sapori e profumi (si parla, più propriamente, di percezione gustativa degli odori): si avvertono principalmente in zona retronasale e, come gli odori, per identificarli ed esprimerli occorre affidarsi alla propria memoria olfattiva.

Nelle mie recensioni, poi, oltre a descrivere sapori, profumi e aromi, li classifico in base alla loro intensità, in via decrescente: profumo, aroma, sapore vero e proprio; sentore; nota; punta. A seconda degli aromi coinvolti, il bouquet in fumata potrà essere più o meno ricco, oppure povero, ecc.

Se definire i sapori è tutto sommato agevole, per via del loro numero finito, per quanto concerne profumi e aromi bisogna, come ho anticipato, ricorrere ad associazioni e queste dipendono dalla memoria e dall’esperienza tanto di chi scrive, quanto di chi legge: la sfida è insomma quella di renderle comprensibili ed espressive per il maggior numero di lettori possibile.

Evito dunque, per quanto mi riesce, di menzionare aromi o profumi poco noti o astrusi, e, per descriverne ruolo e configurazione, faccio un largo uso di metafore e figure retoriche, soprattutto della sinestesia: ad esempio, un bouquet aromatico oscuro non sarà, evidentemente, colorato, ma spero rievochi nella mente di chi legge un’idea precisa, più immediata.

Quando parlo di “nota pedale”, poi, faccio riferimento a un aroma o a un sapore che, magari mutando, resta, però, protagonista, assumendo il ruolo di perno del bouquet di un determinato sigaro. È impossibile elencare tutti gli stratagemmi espressivi che adopero, ma spero di aver reso l’idea.

Continuando, do sempre conto dell’intensità nicotinica e della forza del sigaro. A questo proposito, preferisco utilizzare il termine “forza” per indicare il grado di pienezza dell’impianto gusto-olfattivo complessivo del fumo (il “corpo”), mentre adopero il termine “intensità” quando mi riferisco specificamente alla nicotina.

Da ultimo, utilizzo la parola “progressione” per indicare il naturale mutare di intensità, forza, pienezza aromatica o di gusto nel prosieguo della fumata: in altre parole, riguardo agli aromi, si tratta di mutamenti che non ne implicano un avvicendamento. È chiaro che, in questo senso, qualsiasi sigaro progredisce, in modo più o meno interessante, con l’avanzare della combustione, ma non tutti evolvono aromaticamente.

Adopero quindi il termine “evoluzione” solo quando scrivo di un sigaro che è caratterizzato da un avvicendamento di aromi diversi, e non già da un semplice incremento o decremento di intensità in presenza di un bouquet sostanzialmente uguale a se stesso.

Questi sono i pochi punti fermi che io ho deciso di adottare per scrivere in modo coerente e comprensibile di sigari, s’intende in riferimento alla resa in fumata: non è un elenco esaustivo degli aspetti che prendo in considerazione (mancano equilibrio, finezza e molti altri), ma sono quelli basilari.

Non ho trattato qui neppure le caratteristiche costruttive (tiraggio, combustione, ecc.), perché ritengo che i termini in gioco siano sostanzialmente condivisi e noti.

Come ho premesso, il mio è solo uno degli innumerevoli modi possibili, ma è quello che meglio consente, a me, di narrare il sigaro ed esprimere un giudizio di valore a riguardo, formulato come descritto nel precedente contributo.

Non uso dare voti, ma a chiosa delle recensioni riporto la mia valutazione del prodotto in modo esteso, tenendo sempre conto della prospettiva che ho assunto.

S’intende che si tratta della valutazione di un singolo, ma, a questo riguardo, voglio chiudere con una domanda: cinque, dieci, cento individui che osservano un oggetto controluce percepiranno qualcosa in più o in meno rispetto a un singolo che assume un punto di vista migliore?

 

Foto di Jo Wiggijo da Pixabay