[filefield-onlyname-original]

 

Il sigaro, “primo attore” in tanti film: pende dalle labbra di gangster e cowboy.
Ed è relax per tanti registi.

 

I sigari hanno giocato un proprio ruolo di “attori” già ai tempi dei primi film muti. La loro frequente apparizione sugli schermi negli anni ‘20, ‘30 e ‘40 era un indizio di quanto ampiamente diffuso fosse il loro consumo, specialmente negli Stati Uniti.
I sigari rappresentavano quasi un simbolo, che caratterizzava fortemente anche i personaggi dei cartoni animati e le caricature. Una particolarità ancora oggi molto diffusa.

 

Azione, western, gialli e commedie

 

[filefield-onlyname-original]Nei numerosi film di gangster, girati a Hollywood prima della seconda guerra mondiale, i sigari di grosso formato non mancavano di sottolineare il potere del capobanda, spesso personificato da Edward G. Robinson, lui stesso un gran fumatore di sigari. Del resto, tra i personaggi veri e contemporanei come Al Capone, il sigaro era molto apprezzato. Ecco perchè anche i boss di celluloide non potevano non essere degli accaniti fumatori, così come appaiono anche nei film più recenti e dello stesso filone, ambientati nei tempi della guerra, come il remake di “Scarface” diretto da Brian De Palma e girato nel 1983, o “Gli Intoccabili” del 1987: nessuno può fare a meno dei sigari.
E veniamo al western. Sigari a volontà per spietati capotreno e fattori senza scrupoli e senza rispetto degli accordi con gli indiani, per gli anti-eroi e per gli scaltri giocatori di poker, sguardo e atteggiamento indolenti sottolineati da una Panatela o un Sigarillo lasciati dondolare agli angoli della bocca. Come i veri “duri” alla Clint Eastwood, magistrale interprete de “Il buono, il brutto e il cattivo”, diretto da quel grande amante di sigari che è stato Sergio Leone.
Dalla brutalità allo charme dei film francesi, nei quali i sigari sottolineano stile, eleganza, benessere, joie de vivre. Indimenticabili il giallo “L’uomo di Rio” (1964) e la commedia “Borsalino” (1970), con Jean Paul Belmondo.
Anche nelle commedie hollywoodiane il sigaro ha avuto un proprio simbolismo. Ricchi e poveri godono del piacere del fumo, basti ricordare i capolavori di Charlie Chaplin “Luci della città” e soprattutto “La corsa all’oro”, nel quale la piccola vagabonda fuma mozziconi di sigari gettati via dai ricchi passanti. Per molti comici, Harold Loyd, Stan Laurel e Oliver Hardy, W.C. Fields e George Burns i sigari erano una sorta di “spalla” per le loro gag. Come per Groucho Marx, che era nella vita reale un grande amante di sigari. Quando si trovava davanti alla macchina da presa, il sigaro era sempre spento, ma Groucho era un fumatore da due sigari al giorno, con una predilezione per i Dunhill 410. “Se ti dimentichi una parte”, disse una volta, “quello che devi fare è metterti il sigaro in bocca e fumare fino a quando ti torna in mente”.

 

La passione di registi e attori

 

[filefield-onlyname-original]Un’immagine usuale se non addirittura stereotipata è quella del produttore e regista di Hollywood con in bocca un grosso sigaro. Ed è la realtà. I produttori e i boss degli studios come per esempio Jack Warner e Darryl F. Zanuck erano fumatori incalliti. E registi come Ernst Lubitsch, Orson Welles e Alfred Hitchcock, Roman Polanski e Francis Ford Coppola erano (e sono) appassionati fumatori.
La predilezione dei registi per i sigari trova a volte ripercussioni nei loro film. Orson Welles, ad esempio, recita la parte del poliziotto senza scrupoli Hank Quinlan, che divora regolarmente i suoi sigari, in “The touch of Evil”, un film del 1957 diretto da lui stesso. Nel thriller di Hitchcock “Il sipario strappato” (“Torn curtain”), ambientato durante la guerra fredda, un poliziotto della Germania dell’est offre all’attore principale, Paul Newman, un sigaro pronunciando la frase “Avana – vostra perdita, nostro guadagno”. Nelle “spy story” però, sono le sigarette a fare da “star”, migliori interpreti dei ritmi della suspense.
Si può supporre che i registi amino i sigari perchè particolarmente sollecitati dal tipo di lavoro che svolgono, dove bisogna prendere continuamente decisioni in un’atmosfera surriscaldata. Accendendosi un sigaro è come se si prendessero un break per riflettere, per esempio, su una risposta da dare; il sigaro sprigiona un effetto calmante, comunica autorità e pacatezza e addolcisce il tempo tra i set-ups.
Anche tra gli attori troviamo fumatori incalliti di sigari come ad esempio Paul Newman, Michael Caine, Tom Cruise, Danny De Vito, Robert De Niro e Arnold Schwarzenegger, quest’ultimo anche socio fondatore dell’ “Havana Room”, un club privato di fumatori di sigari a Beverly Hills. Molti divi americani sono schiavi della loro passione anche sullo schermo, basti ricordare Jack Nicholson nella parte del Colonnello Jessep in “Codice d’onore” (“A few good man”) di Rob Reiner del 1992 e prima come piccolo GI ne “L’ultima Corvée” (“The last detail”). Albert Finney recita la parte di un durissimo boss irlandese fumatore di sigari ne “Il crocevia della morte” (“Miller’s crossing) del 1990, ed anche nelle vesti del detective Hercule Poirot in “Assassinio sull’Orient Express” lo si vede alla prese con i sigari. Michael Douglas in “Wall Street”(1989) nel ruolo dell’avido Ekels Gordon Gekko fuma un sigaro; tipico, nei film degli ultimi anni ‘80 e primi ‘90, dove i protagonisti sono spesso impudenti yuppies, affascinati dai sigari.
James Woods nella parte dello semipsicotico Max nell’epico film di gangster di Sergio Leone “C’era una volta in America” (1984), Arnold Schwarzenegger in “Codice Magnum” (“Raw Deal”), Roger Moore, James Bond in “Vivi e lascia morire” e Robert Duvall ne “Il Padrino parte II” sono accaniti fumatori di sigari. Appartiene a questa categoria, sicuramente, Sylvester Stallone che nel film di Norman Jewison “F.I.S.T.”, (1978) è schiavo della sua passione, anche se le scene di Sly che fuma sono state tagliate.

 

“Ciak” per il sigaro

 

[filefield-onlyname-original]Dobbiamo constatare che solo pochi di questi attori hanno realmente fumato sul set. La maggior parte dei registi evitano reali scene di fumo, in quanto il sigaro dura troppo e il ciak risulterebbe troppo lungo. Pertanto essi vengono utilizzati solo per caratterizzare un personaggio o per creare uno stato d’animo. Va da sè che i registi prediligono girare le scene in cui i sigari vengono accesi o spenti, anzichè effettivamente fumati, e poi, come conservarli con il calore che proviene dalle luci degli studi?
Adesso non ci resta che ricordare “Smoke”, del 1995, di Wayne Wang tratto dal libro dell’autore newyorkese Paul Auster. In questo film un negozio di sigari di Brooklin, gestito da Auggie Wren, interpretato da Harvey Keitel (fan dei sigari anche nella vita), rappresenta il punto di partenza di una serie di storie. In una di queste, un carico di Avana di contrabbando del valore di 5000 dollari viene distrutto per errore. Dopo poco Wang e Auster hanno prodotto un altro film insieme, “Blue in the face”, girato nello stesso negozio di sigari: questa volta, un ruolo speciale anche per Madonna, Michael J. Fox, Lou Reed e, nuovamente, Harvey Keitel.

 

 

Fonte: Tutto Tabacco