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E’ quasi la mezzanotte di ieri. La Sala degli Artisti di Fermo è gremita. Lo schermo è nero, ma non siamo ai titoli di coda. Si tenta invece di rappresentare il buio della barbarie. Dalle casse si diffonde solo il canto dei polacchi: una sorta di nenia che evoca tristezza ma contiene anche speranza. La speranza di una nazione cristiana sottomessa, ma non doma. Che saprà rialzarsi, con Solidarnosc negli anni settanta, con Papa Karol Woytila negli anni ottanta, dello scorso secolo.

Due le scene cruciali del drammatico film di Andrej Wajda, “Katyn”. La prima, in apertura: un ponte con tanta gente che fugge: scappa via dai nazisti ad Occidente e dall’Armata Rossa ad Oriente. Sono comuni cittadini, schiacciati dai due totalitarismi, da due belve sanguinarie.

La seconda: l’uccisione da parte dei rossi di 22 mila soldati (ufficiali e sottufficiali) dell’esercito polacco. Un colpo alla nuca… e giù nelle fosse di Katyn, finiti da una baglionetta, sepolti da tonnellate di terriccio spostate da un caterpillar. Impressionante quando i volti spariscono! Ancor più impressionante, quanto indicativo, è che, mentre vengono condotti al macello, quei soldati preghino. Non è solo il comprensibile raccomandarsi l’anima, invocazione a Dio nel momento della morte prossima. E’ l’espressione, invece, immediata – direi, normale, anche se potrà sembrare strano – di un popolo cattolico, sino al midollo impastato di cristianesimo. Non c’è atto, in quella Polonia sconvolta dalla guerra raccontata dall’anziano regista, che non sia pervaso dalla fede e dal senso religioso.

Ne scaturisce una considerazione. E’ la nazione cristiana, è il cristianesimo schiacciato dalle due ideologie pagane e materialiste, che si vuole annullare, distruggere, disintegrare.

Se l’Armata rossa di Stalin annienta l’intera classe militare polacca – l’eccidio di Katyn è storicamente inoppugnabile -, i nazisti tentano di annichilire la cultura polacca e di tagliarne via le radici, a cominciare dai docenti dell’università di Cracovia.

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Il film è tremendamente vero.

Se prima intuivamo i perché della censura in atto, della mancata circolazione nelle grandi sale, del tentativo di acquisirne i diritti per bloccarne le proiezioni, ora ne capiamo i motivi reconditi.

Non c’era mai capitato, anche con pellicole dure, di vedere oltre cento persone alzarsi dalle poltrone ammutolite, un silenzio che è durato a lungo. Una sorta di rispetto per quelle vittime innocenti. Ed anche un pagine di storia finalmente svelata e su cui non avevamo mai riflettuto fino in fondo. Il film è un inno alle verità e un invito a non cedere.

Abbiamo pensato a Fahrenheit 451, a quel mondo dove venivano bruciati i libri, perché pericolosi. Oggi si vietano i film, boicottandoli, e si vorrebbe bruciare Wajda, comprandolo. Ma i polacchi sono tosti. Hanno resistito a due giganti. Perché hanno ben altri giganti. E lo sappiamo.

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pubblicata da Adolfo Leoni il giorno giovedì 26 marzo 2009