sigaraia sigaro toscano lucca

Qui su GustoTabacco abbiamo pubblicato svariati scritti di Giuseppe D’Amore, ex Direttore della Manifattura di Cava de’ Tirreni e autore del libro Oltre il Fumo.
Pubblico quindi molto volentieri anche questo contributo, che contiene alcune sue riflessioni particolarmente interessanti nell’anno del bicentenario dei sigari toscani.
Buona lettura!

I duecento anni dei sigari toscani confezionati a “mano” e a “macchina”

di Giuseppe D’Amore

Per commemorare i 200 anni del sigaro “Toscano” (1818 – 2018), visto che in Italia la produzione di tutti i prodotti da fumo non è più affidata al Monopolio di Stato, ma dall’anno 1999 all’Ente ETI e poi al Gruppo BAT (British American Tobacco), e che dal 2006 tutto il settore sigari è stato venduto dalla BAT al gruppo italiano Maccaferri (acronimo: MST), inoltre visto anche che la propaganda ufficiale del “Toscano” si fonda preferibilmente sul sigaro tradizionale confezionato a “mano” (un irrisorio 0,017 % del totale dei sigari), mi affiderò per poter chiarire l’arcano di questo marketing immaginifico fuorviante ad una similitudine concettuale, che riguarda l’isomeria dell’acqua, elemento indispensabile per la nostra esistenza e per quella del nostro sigaro toscano.

Difatti secondo l’Università di Basilea (Svizzera) l’acqua può avere due forme chimiche diverse (o isomeri), in cui gli atomi di idrogeno, legati all’ossigeno, possono liberamente ruotare sia nello stesso senso oppure in senso contrario, di conseguenza le due molecole in condizioni normali si comportano allo stesso modo, ma in condizioni estreme, cioè vicino allo zero assoluto, vedono aumentare la reattività con altre molecole del 25% in favore del secondo caso, facendo cadere l’intercambiabilità tra le due molecole.

Ritornando al nostro sigaro “Toscano” fatto a “mano” e a “macchina”, partendo dall’anno 2000 e sotto la gestione dell’ETI, le due filiere si sono diversificate, difatti per i sigari a “mano”, compresi quelli prodotti di recente dalla CTS (Compagnia Toscana Sigari), il ciclo è stato suddiviso in due fasi di lavorazione, cioè nella fermentazione e nella stagionatura dei sigari, mentre nella filiera dei sigari a “macchina”, compresi i sigari aromatizzati e quelli prodotti dal MOSI (Moderno Opificio Sigaro Italiano), è stato affidato a terzi il completo approntamento della fascia.

A causa di questa nuova strategia, l’Ente fu costretto a riconsiderare i “costi-benefici” dell’intera filiera relativa a tutti i sigari fabbricati a “macchina” e prodotti in Italia.

Purtroppo la percentuale della fascia in un sigaro “toscano” tradizionale incide per il 30 ÷ 40 % dell’intero sigaro ma non della percentuale teorica dichiarata del 12 ÷ 15%. Alla luce delle percentuali effettive si sono dovuti rivalutare tutti i parametri economici e logistici dell’intera filiera, mettendo più in ombra quelli riguardanti la tipicità e la peculiarità del sigaro “toscano”, in quanto l’ETI dovette ricorrere a trattamenti suppletivi per ovviare, in parte, ai fenomeni stressogeni causati dai lunghi viaggi verso il paese asiatico.

I principali parametri “costi-benefici” considerati, a suo tempo, dall’ETI si possono così succintamente elencare:

a) perdita verticale di manodopera utilizzata dagli Opifici in Italia;

b) trasporto del tabacco Kentucky, italiano e nord americano, ad una Umidità assoluta stabile del 18% nella regione dello Sri-Lanka;

c) bagnamento con acqua arricchita di Burn-additive prima che il tabacco venisse sagomato tramite le macchine fustellatrici;

d) congelamento a – 10°C delle bobine (o BUD) approntate per poter affrontare i lunghi viaggi nei containers per il ritorno per l’Italia;

e) scongelamento delle bobine e nuovo bagnamento con Burn-additive all’atto dell’utilizzo delle bobine sulle confezionatrici;

Lo scrivente, che ha vissuto in prima persona i citati stravolgimenti, non si augurerebbe mai il ripetersi dei fatti avvenuti in Lombardia intorno all’anno 1847, quando ebbe inizio un atto sovversivo economico contro gli asburgici e che consisteva nel boicottare i sigari “Virginia”, prodotti dalla Regia austriaca e provvisti di un’anima centrale costituita da un filo centrale di paglia di Alicante.
Molti fumatori erano indecisi se seguire lo spirito patriottico o continuare a fumare i buoni sigari “Virginia”, dissidio stridente che stimolò gli Svizzeri, arguti mercanti, a costruire a Brissago, nel Canton Ticino, una fabbrica, che inizialmente confezionava i sigari “Virginia”, ma che poi si dedicò a fabbricare il nostro “Toscano”, i Toscanelli, comprese le “cimette (o spuntature)” per gli appassionati “pipatori”.

In conclusione, l’atteggiamento estero molto positivo nei confronti del nostro sigaro “Toscano”, nel tempo, vista la miopia e la testardaggine di affidare a terzi l’approntamento della fascia per fasciare i nostri sigari fabbricati in Italia, potrebbe tramutarsi in un boomerang per gli attuali produttori italiani, in quanto il sigaro Toscano è un manufatto frutto del genio italico, quindi di pertinenza di tutti gli italiani, tanto è vero che a fondare la “Parodi”, Holding quotata attualmente in borsa, furono proprio gli italiani emigrati a New York e Buenos Aires, dove fecero conoscere il Chianti ed il “Toscano”.
Infine, bisogna precisare che il sigaro toscano tradizionale ha sempre mantenuto, nel tempo, una percentuale di vendita abbastanza costante, tanto è vero che nel 1884 la percentuale risultava del 61,3% del settore “sigari e sigaretti”, mentre nel 1985 era ancora del 59,49%, periodo in cui incominciavano fare capolino i “cigarillos”, percentuale oscillante intorno al 23%.

Cava De’ Tirreni, lì 23 – 08 – 2018
Giuseppe D’Amore
già Direttore di produzione presso la M.T.di Cava

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Foto durante le prove di tiraggio dei sigari con l’apparecchio “filtrona” effettuate da D’amore Giuseppe qualifica ufficiale: “direttore” di produzione “sigari”. Sede: Manifattura Tabacchi di Cava de’ Tirreni.