Tra l’Adriatico e la catena appenninica dei Sibillini giace una campagna fertile e ondulata, ricca di cereali, di vino e d’olio. Campi pezzati di grano, di granturco, di trifoglio rosso, di lino azzurro, di legumi, ricoprono le valli e i pendii delle colline. Aceri e pioppi, inghirlandati di viti, s’innalzano dai campi di grano. Ulivi e gelsi abbondano. Le acacie orlano le strade, e qua e là gruppi di querce e di olmi fanno rimpiangere al viaggiatore che non ne siano stati risparmiati di più in quella che una volta era una contrada con boschi bellissimi. Coppie di enormi buoi tirano gli aratri e i carri dipinti. Gli Appennini incappucciati di neve chiudono a ovest l’orizzonte, e la distanza rende incantevole la vista del mare, intravisto tra le curve delle colline, punteggiato dai colori vivaci delle vele delle barche da pesca. Strane minuscole città, circondate da massicce mura di difesa, stanno appollaiate sulla cima di ogni collina”.

Scriveva questo un secolo e mezzo fa Margaret Collier, inglese, giunta nel Fermano dopo il matrimonio con l’ufficiale dell’esercito Arturo Galletti. Vedeva questo dalla sua villa su un cucuzzolo della campagna di Torre San Patrizio. Molto è andato perduto oggi di questa realtà agreste, ma molto è anche sopravvissuto. La nostra terra, nonostante gli attacchi subiti, una sua bellezza e una sua vocazione agricola l’ha mantenuta. Ed oggi questo patrimonio rimasto è un valore aggiunto. Che può tirare le calzature e i cappelli, che arricchisce la meccatronica, ma che può anche significare il rilancio tout cour del settore agricolo sommato al turismo e alla buona tavola. Terra ricca di tradizioni, di storie, di leggende e di buon mangiare è il Fermano. Ecco, perché ne parliamo ne “Il Gusto… della vita”. Segnali di maggiore attenzione a questi settori emergono al di là delle mode. Basta saperli cogliere e basterebbe coniugarli insieme per un mix vincente. Ci piace pensare alle denominazioni comunali di origine (De.Co) – grande ed intelligente pallino di Paolo Massobrio e del suo Club di Papillon – che stanno aumentando. Dopo quella apposta a “lu serpe” dal municipio di Falerone, Montegiorgio apporrà il suo timbro De.Co. su “li caciù co la fava”.

Roba nostra, roba storica, roba genuina, dove i sindaci – in questo caso Massimo Bertuzzi e Armando Benedetti – ci mettono la faccia e dicono: “è una bontà di casa nostra, da lungo tempo, fidatevi, lo certifichiamo noi”. E ci piace ricordare la recente nascita dell’Associazione Produttori dei Maccheroncini di Campofilone. E ci piace dire delle fattorie didattiche, come quelle di Doriano Scibé a Grottazzolina, dove i bambini delle scuole incontrano di nuovo – e non su internet o nei cartoni animati – gli animali da cortile, eppoi le mucche, i maiali.

E ci piace infine sottolineare come i nostri cuochi siano l’ultimo anello – imprescindibile, indispensabile – di una catena che lega la terra agli uomini, la natura al gusto dei suoi prodotti. I cuochi sono i grandi interpreti della fantasia poliedrica che la terra ci propone. E sono anche gli interpreti – come vedremo in alcuni servizi all’interno di questo numero – della bontà del Signore, che se voleva solo sfamarci avrebbe consentito un solo prodotto, ma ha voluto farci assaporare migliaia di gusti.

I cuochi allora, sia detto senza irriverenza, braccio destro del Padreterno.

 

Fonte: “Il gusto della Vita”