Le Sigaraie: un lavoro che diede dignità alle donne
Le sigaraie furono tra le prime donne ad entrare a pieno titolo, ossia con gli stessi diritti degli uomini, nel mondo del lavoro. Proprio nella Manifattura Tabacchi, infatti, si registrò l’incremento più alto della manodopera femminile, a cui furono demandate tutte le fasi di lavorazione dei sigari.
A metà dell’800 le donne erano appena una ventina. Dopo l’Unità d’Italia, il numero crebbe in modo esponenziale. All’inizio del secolo scorso, le impiegate nelle Manifatture di tabacchi in tutta Italia costituivano la presenza femminile più rilevante nel mondo delle fabbriche, con circa 12.000 unità, che alla vigila della prima guerra mondiale passarono a 16.000.
Per dare solo un’idea di quello che le sigaraie significarono per il mondo del lavoro, non solo femminile, diciamo solo che furono loro, seppur dopo aspre lotte sindacali, le prime ad avere gli asili nido nei luoghi nella Manifattura. Una conquista che le distinse dalle altre lavoratrici. La vita dell’epoca imponeva molti sacrifici: gli orari di lavoro variavano dalle 7 alle 14 ore effettive, a seconda della stagione e quindi della durata delle giornate.
Insomma, la vita non era delle più facili. Ma nonostante questo il mestiere della sigaraie era visto con invidia ed era ambito perché dava un reddito sicuro e una certa indipendenza economica.
La tecnica delle sigaraie:
Le sigaraie ricoprono una importanza decisiva per la realizzazione del sigaro italiano; il loro lavoro è rimasto pressoché identico da più di 200 anni e viene trasmesso spesso di madre in figlia.
Per diventare sigaraie servono 18 mesi di apprendistato. Solo dopo questo lasso di tempo una sigaraia può confezionare un sigaro con le proprie mani.
Ecco come avviene la lavorazione, che potremmo definire artigianale, del sigaro.
Le dita della sigaraia si bagnano nella ciotola contenente colla di mais e stendono il collante sulla tavoletta di legno. In tal modo, la metà di una foglia di Kentucky, stesa e posizionata sul ripiano inumidito, resta ben aderente.
Con l’estremità del coltello la ragazza delinea la sagoma della fascia del sigaro (scarpetta). È fondamentale che le nervature della foglia siano parallele al verso di arrotolamento per evitare che creino resistenza e che la fascia si apra durante l’essiccazione del sigaro.
Le sigaraie prelevano i pezzi (filamenti) di tabacco fermentato dalle sacchine, li soppesano per verificare che il quantitativo sia giusto, li pettinano e li dispongono in modo da creare un sigaro dalla giusta forma e consistenza.
Dopo aver formato il mazzetto (pupa), la sigaraia, tenendolo serrato, lo dispone sulla scarpetta già sagomata, solleva la punta del lembo inferiore della fascia ed inizia ad avvolgere, diagonalmente e verso l’alto, la foglia che va a contenere i filamenti. È fondamentale non adoperare eccessiva forza nella chiusura onde evitare che ne risulti un sigaro troppo stretto o troppo pieno che non garantirebbe una tirata ottimale.
Le estremità del fuso, irregolari e asimmetriche, vengono poste su una taglierina a manico per il taglio.
La forma finale è così definita!
fonte: www.manifatturesigarotoscano.it