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Il fumo del tabacco  

Scherzo 

Nella stanza d’un Uffizio alla Camera dei Deputati 

 

Quando la Capitale del Regno d’Italia non era per anche trasferita da Firenze a Roma, la Camera dei Deputati sedeva in Palazzo Vecchio, cioè nella Sala dei Cinquecento fatta edificare dalla Repubblica per proposta di Fra Girolamo Savonarola; nel celebre quartiere, poi, di Leon Decimo fu posta la Presidenza; il Salone dei Duegento, dove ora tiene l’adunanze il Consiglio Municipale Fiorentino, serviva di lettura e di conversazione ai Deputati; nelle stanze di sopra, e segnatamente ai lati della così detta Sala degli Elementi, dalle figure allegoriche ivi dipinte, convenivano gli Uffizi e le Commissioni della Camera per preparare le Leggi. 

Nell’aprirsi, dunque, di una nuova Sessione Legislativa, il Presidente, dopo le cerimonie d’uso, sciolse l’adunanza dicendo : “Invito i Signori Deputati a radunarsi negli Uffizi per discutere il Bilancio presentato dai Signori Ministri”

Un deputato nuovo, che non sapeva le consuetudini di quei luoghi, supposte da lui solennissime per l’alta dignità degli uomini e delle cose, si era meravigliato che nella Sala dei Dugento si fumasse sigari da pressoché tutti i Deputati, e che, cominciata dai Segretari la chiama per dar principio alla Seduta, i suoi Colleghi continuassero a fumare fino all’entratura del Salone, dove alla fine spengevano di malincuore il sigaro. Egli aveva in uggia il fumo, che gli dava al capo, sicché nell’aula respirò contento; e non credeva poi menomamente che negli Uffizi, a’ quali s’avviò co’ suoi compagni, si potesse aver licenza di fumare, parendogli non meno importanti l’adunanze speciali per preparare le leggi che la plenaria per deliberarle.

Ma, invece, sulla tavola già s’era fatta in prò degli adunati un’altra preparazione: v’era benignamente ammannito tutto ciò che serve a’ fumatori, vasetti di porcellana pieni zeppi di fiammiferi con righe di fuori per poterveli fregare, padellette color di bronzo per iscotervi la cenere del sigaro, e anche bugìe con candela stearica da poterlo accendere per più comodità. Ed ecco, la prima cosa, tutti i congregati, salvo lui, affaccendarsi a levar di saccoccia il portasigari ed a fare il resto che bisogna, quasi solleciti di riacquistare il tempo perduto nella Camera senza quel gusto. In pochi momenti la sala fu fatta un nuvolo. Allora, eletto il Presidenze dell’Uffizio e il Segretario, si venne, in mezzo agl’incensi del tabacco, a esaminare con le partite del bilancio gl’interessi più vitali della prosperità pubblica, il pane del povero, la sostanza del benestante che può, se troppo aggravato, divenir povero, l’amministrazione del pubblico danaro nelle varie necessità dello Stato. 

Spesso chi parlava, tra le sbuffate del fumo tossiva; il Segretario, affumicato parte dal sigaro suo, parte da’ sigari altrui, era talvolta costretto a diradare col fiato e con la mano il vapore insolente che gli velava i fogli, ne’quali dovevano registrarsi le focose discussioni; qualcuno si compiaceva di dimandare il fumo per le narici, altri lo assorbiva, e dopo del tempo lo esalava in modo che gli saliva come un velo per la faccia; e tutti poi, discutendo col sigaretto in bocca, interrompevano spesso le proprie parole per aver cura del sigaro stesso che si spengeva, o per accenderne un altro: tutti adunque partivano l’attenzione loro, necessariamente, fra i diletti del tabacco e gl’interessi della patria. 

Al deputato nuovo saliva la fumea dallo stomaco alla testa, e il viso gli si accendeva; talché, per sollievo, egli accostavasi al finestrone che guarda le graziose colline di San Miniato al Monte. Mirando la serenità del cielo luminoso, che spiccava di più sulle verdi cime, la paragonava con l’oscurità di là dentro, e gli tornavano in mente le dottrine di Pitagora che sapientemente rassomigliò all’armonia dell’universo la città bene ordinata, cioè retta da savie leggi e da bontà di pubblici costumi. Frattanto, egli era costretto dalla gravezza del respiro a divagarsi, come ho detto, e a perdere il filo della discussione. Anzi, avrebbe volentieri egli medesimo chiesto di parlare; ma sì! Con quel caldo al cervello come aver chiarezza di mente e precisione di parola? Talché, fra la noia, il dispetto, e le magre conclusioni del molto parlare altrui senz’apparenza di molto raccoglimento, con l’apparenza piuttosto di un abbandonarsi, fumando, alla ciarla casareccio come si fa dopo pranzo, egli risolvette di andarsene via e uscì.

Quand’ecco nella Sala degli Elementi s’incontra in altro deputato, che, col fumaiolo tra i labbri, veniva tardi all’Uffizio, e che, vedutolo in faccia rosso scarlatto, gli dice : “Ohe, collega riverito, vi siete voi troppo infiammato nel disputare? avete litigato? Calma – ci vuole; voi siete novizio…
Ma il Novizio rispose: “Signor Collega mio, altro che disputare! Non ho potuto aprir bocca.
E perchè?
Per quella medesima cagione che uno scappa da una stanza, quando la stufa non isfiata bene e manda fumo. V’è solo la differenza tra il fumo di legna, e quello del tabacco. E che si celia, onorevole Collega, la stanza de’ Legislatori piena di nebbia, che fa frizzare gli occhi e ci costringe a respirare un’aria infetta d’esalazioni che escono col fumo da’ polmoni de’ fumatori, dalle bocche non sempre pulite, fra denti non sempre incorrotti. È una sudiceria. Mi scusi, Collega, non se n’impermalisca, dacché vedo ch’Ella pure ha l’uso di fumare: ma, stanze che accolgono per gravi faccende, per faccende di Stato, più persone; le quali non istringe l’obbligo di essere avvezzi a sopportare il puzzo, che agli avvezzati sembra odore, di un’atmosfera tabaccosa e, anzi, ne sono turbati nella vivezza del pensiero, da desiderarsi vivissimo e svegliatissimo in siffatte cure sacrosante, mi sembra malfatto. Lo direi, se non temessi dir troppo, èun preferire l’assaporamento del sigaro all’obbligazione di meditare non distrattamente interessi di tanta gravità ; d’una gravità che pesa terribile (dich’io troppo?) sulla coscienza.

Il vecchio Deputato aveva l’aria, girando gli occhi lentamente qua e là, di chi ascolta cose, forse un pochetto vere, ma in ogni modo non effettuabili: e diceva: “Signor Collega, capisco, se il fumo ad uno fa male… a un deputalo che pure ha diritto d’intervenire agli Uffizi o, piuttosto, n’ha dovere, forse la regola di astenersi dal fumo negli uffizi sarebbe giustificabile; ma l’uso n’è così generale ormai e inveterato, da non poter sottoporre gli assuefatti all’obbligo di astenersene per sì lungo tempo”. 
Scusi, Collega mio riverito – interruppe il Novizio – “l’obbligo di non mancare alla preparazione delle leggi non dovrebb’egli far porre l’obbligo di non fumare? In questa bilancia, il fumo adunque pesa più d’una legge?” 
Il Collega, storse le labbra, e poi: “Che le ho da dire io, la maggioranza de’fumatori sopraffà la minoranza de’ non fumatori; e, come Ella sa, i più vincono i meno in tutte le deliberazioni“.
Sta bene – il deputato nuovo soggiunse, con un risolino a fior di labbra – sta bene; ma certo la maggioranza procurerà di non violare i diritti della minoranza, perchè le buone Leggi devono assicurare la libertà di tutt’ i diritti.
Certo, certo… – l’anziano rispose: ma senza considerare se l’argomento stringeva – Quanto poi al dubbio vostro (eglia proseguiva) che un sigaro impedisca il raccoglimento agli abituati, scusatemi, sbagliate; perchè vi affermo, al contrario, che il sigaro aiuta”. 
Qui l’avversario del fumo rifece quel risolino di prima; ed esclamò, pacatamente bensì per non offendere l’irritabilità probabilissima del Collega: “Peccato, che il tabacco da bocca e da naso non ci fosse a’tempi di Dante, di Raffaello e di Galileo, e neppure di Cristoforo Colombo, che lo trovò fra i selvaggi del Nuovo Mondo; e i Selvaggi, che fumavano sempre per meglio pensare, han regalato quest’aiuto agli Uomini civili. Così, sento dire, che gli scrittori scrivono meglio col fascetto degl’Indiani prossimo al cervello e gli Artisti disegnano meglio, e gli Scienziati pensano meglio e gli Amministratori della Cosa pubblica, oh! evidentemente, amministrano meglio, e i Legislatori fan Leggi di maggior sapienza e soprattutto di maggior chiarezza, o anche di meno prolissità e superfluità! Benedico la scoperta dell’isola Tabago. Anche il nome fu preso dai Pellirosse“. 

Il vecchio Deputato, sebbene anch’egli, come tutti noi ominacci sentisse malvolentieri le verità che non piacciono e ne distraesse il pensiero e il discorso, era tuttavia cortesissimo e amabilissimo; strinse forte la mano al suo nuovo Collega, e gli disse : “Quando esordirete voi alla Camera? Che parlate bene. Addio, addio: bisogna che io entri nella Stanza dell’Uffizio” – Ed entrava. 

Sempre con quel risolino sottile, il Nostro, guardandogli dietro mormorava: “Vedete come si sciolgono le questioni; o, piuttosto, come si troncano!” E, dopo aver guardato alle pitture della soffitta e delle pareti, s’accostò ad un finestrone per mirare di nuovo i Colli, su cui sorge la Chiesa di San Salvatore, così leggiadramente pia, e, fra le reliquie de’ Baluardi Michelagnoleschi, la Basilica maestosa delle Porte Sante; talché in lui cozzavano stranamente le memorie solenni con l’uggie dell’esoso fumo. E diceva tra sé: “Non può essere, no, che la sensuale abitudine di sigarar sempre non preturbi molto il cervello. Il fumo del tabacco inebria; e, prima d’avvezzarvisi, quanti rovesci di stomaco ne’giovanetti, ambiziosi di parere uomini, ostentando fra’ labbri quello zipolo che, fra l’altre cose, storce la bocca e, per l’esalazione acuta che sale agli occhi, li fa tenere o socchiusi o bistorti. Minerva, secondo la Favola Greca, quando nel sonare il flauto si vide in una fonte gonfiar le gote, questa deformità così le spiacque, che gettò via lo stromento. Ma sì, badano alla deformità costoro! E pensare che l’ alterazioni del viso diventano poi costanti, e impediscono l’espressione naturale
Quanto riderebbero del mio paradosso i Caminetti ambulanti! Anche dall’Estetica gli argomenti contro di noi! Sì, è anche dalla Morale, che quello è davvero un continuo compiacere i sensi: è una intemperanza, come del bere soverchio. Sì, anche dalla Ragione di Stato, anche dalla Politica; che non si potranno meditare a sufficienza leggi, deliberazioni, amministrazioni, badando alla voluttà grossolana del tabacco, ed eccitati nel cerebro dalla nicotina. Sì, dalla Igiene, che ormai han dimostrato i Medici, come da quest’abuso derivino mali di spina, di stomaco, di nervi e cancheri alla lingua. Sì, anche dalla mondezza; che proprio fa schifo la pozza delli sputi su’ pavimenti, e il colare della saliva impregnata di sugo giallo dagli angoli della bocca; e l’insozzarsi non di rado della camicia sul petto. Sì, dal Galateo, dalla più dozzinale urbanità; che gran villania é sbuffare nel volto altrui o negli occhi e nel respiro le fumate del tuo sigaro e della pipa. Sì, dall’agiatezza delle famiglie, specialmente degli artigiani che vi spendono soldi e lire non poche, lagnandosi poi delle scarse mercedi. Sì, dalla gentilezza, che fumare dinanzi a donne com’oggi si fa per tutto, significa una tal familiarissima conlidenza da togliere ogni rispetto. Non possiamo praticare nei caffè, nelle conversazioni, nelle stanze d’affari, senza riportarne puzzolente di fumo la veste, come gli stallieri del puzzo di stalla”. 

E chi sa quant’altre cose mai egli avrebbe detto nel cuor suo, per l’odio, per la stizza, per il furore, direi, contro gli appalti del tabacco; se uno stropiccìo di piedi nella disamata sala del suo Uffizio non gli avesse dato segno che i colleghi uscivano; né a lui piacque mescolarvisi, con quel rancoraccio in fondo all’anima per le noie sofferte dalle loro evaporazioni. Sicché, il Deputato scese frettoloso nel quartiere del Presidente, suo amico e concittadino.

E, appena messo il capo entro la porta, disse alto: “Presidente, t’ho da fare un quesito“.
Il Presidente, alzati gli occhi, e messo giù il sigaro, disse: “Oh! buongiorno; un quesito? di che?
– “Vi sarebbe da porre un altro articolo nella legge sugli eligibili al Parlamento ed è questo: Non sarà eligibile chi non può sostenere il fumo de’ sigari”. 
E il Presidente, dando in una risata, disse: “O che ti gira pel capo, amico? 
Ed egli: “Oppure, a rovescio, sarebbe da mettervisi un altro articolo: Non sarà eligibile chi fuma. – Oh! ce la daresti buona! — Oppure, con meno rigidezza: Non eligibile chi non può astenersi dal fumo negli uffizi delle Camere, e… e… e… – Ho capito, e nel quartiere della Presidenza.
– “Ma spiegami un po’ l’enigma” – disse il Presidente, ripigliando il sigaro tra l’indice e il medio e, pacatamente, risollevandolo all’onore di quei labbri che governano le tempeste parlamentari.
– “Te lo spiego in poche parole: una stanza, tutto fumo, a me fa male, il capo mi gira, l’idee mi s’annebbiano; né quindi so fare il deputato; e siccome gli elettori miei, stando la legge com’è, han diritto d’eleggermi, ed io ho il diritto di fare il mio dovere, così rimettendomi alla tua saviezza, mi parevano necessari gli articoli proposti; e tu lasceresti una memoria immortale di te, anche per questo titolo, se tu li proponessi alla Camera: che a me novizio non s’addice.
– “Oh!” – il Presidente rispose con certa espressione d’occhi tra il faceto ed il serio – “ma bisognerebbe aggiungere gli stessi articoli anche per l’eligibilità dei Consiglieri Provinciali e Comunali, che si fuma deliziosamente nella stanza della Deputazione provinciale e della Giunta municipale. Caro, si fuma negli Archivi! si fuma nelle Banche! si fuma per tutto. E che ci vuoi fare?”
– “Sentimi, Presidente, pare un segno di civiltà l’aver cappe di camino e di stufa per mandar fuori il fumo; e ora, per lo meno, bisognerebbe inventare uno sfogatoio in ogni stanza da tirar su e disperdere in aria la vaporosità sigaresca.
– “Fuor di celia” – il Presidente soggiungeva – “riconosco una parte di ragione in quel che tu dici, e basterebbe vietar di fumare dove si trattano faccende importanti, o dove il Galateo lo comanda. Ma che vuoi, Re e Imperatori danno i sigari a corte; fumano anche le signore…
– “Amico, e che non fanno certe signore ormai per emulare gli uomini e per la loro emancipazione gloriosa? Guidano cocchi, mandano le barche co’ remi vestite da marinari e, fumando co’ giovani, si avvezzano e gli avvezzano al tu per tu.
La riverenza e la timidezza son pappolate. Anzi le donne galanti, oggi, preferiscono i fiori non odorosi alla rosa ed alla mammola; e poi amano l’odore del tabacco. Se poi qualcuna patisce il fumo, povera lei! Non trova rispetto in alcun luogo, neppure ne’ carri di stradaferrata, pur dov’è scritto, qui non si fuma. È una vergogna”.
Il Presidente, alzatosi, diceva in tuono giovialissimo: “Bada, che io fumo discretamente, un sigaro o due al giorno, sicché…” 
E il nuovo Deputato – “Ma questa è nulla, va bene, siamo ne’ termini della temperanza, non si nuoce alla sanità propria, né si reca fastidio altrui. Oh! insomma concludo (e qui gli spuntava il solito risolino) pensa, prego, a quegli articoli“.
– “C’è una difficoltà, l’erario” – esclamò il Presidente, fregandosi le mani – “l’entrata sul titolo de’ tabacchi va molto in su, come l’altra sul giuoco del lotto. Sono entrate, che non accrescendo la prosperità e la moralità de’ cittadini, tornano in fin de’ conti a svantaggio della cittadinanza e, perciò, dello Stato. Ma capisco, che. queste dottrine sanno di rancidume“.

 

Prof. Augusto Conti

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Questo è un brano che ho trovato navigando su internet, il link che mi ha portato a questo documento è questo: http://documenti.camera.it/bpr/11589_testo.pdf 

Credo che sia in un archivio molto vecchio del nostro Senato… forse il documento originale risale alla fine dell’800. 
Voi che ne pensate?