È il titolo di quello che, a detta degli appassionati, è uno degli albi più belli della storia di Tex

Willer, eroe leggendario nato dalla fantasia di Giovanni Luigi Bonelli. “Segnali di fumo” racconta infatti Tex in uno dei suoi ruoli più tipici, quello di difensore degli Indiani e di vendicatore dei crimini commessi contro di loro. Ed è anche il titolo di un classico del cinema western, datato 1955 per la regia di Jerry Hopper. Se il mondo del cinema e quello dei fumetti hanno stimolato la nostra fantasia fino ad immaginare i segnali di fumo come il mezzo di comunicazione per eccellenza degli Indiani d’America, tale pratica in realtà è da considerarsi uno dei metodi più antichi per comunicare. Esso prevede la formazione di nuvole o sbuffi di fumo, generati grazie ad un falò a cui venivano aggiunti erba o rami verdi, quindi scoperto a intervalli più o meno regolari da un telo o coperta che faceva da segnalatore, in modo da formare nuvole di diverse dimensioni. Come canale di comunicazione, di messaggi semplici e concetti compiuti come ad esempio l’arrivo di un nemico, veniva usato il cielo, quindi questo tipo di comunicazione era prettamente diurna, e il ricevitore altro non erano che gli occhi di chi sapeva decifrare il messaggio. Non solo Apache, Cheyenne, Sioux, Navajo, ma anche gli aborigeni australiani e gli Yamana della Terra del Fuoco utilizzano i segnali di fumo per comunicare a distanza. Nella storia si hanno tracce di questo utilizzo anche in Cina, dove i guardiani della Grande Muraglia comunicavano grazie a questo sistema a distanze di ben 480 chilometri. Si narra che anche lo storico greco Polibio utilizzasse questo sistema per trasmettere messaggi cifrati. Sappiamo qualcosa in più sulle tecniche usate dai Pellerossa, i quali potevano sostituire l’accensione delle stoppie con quella di sterco di bisonte.

I messaggi si formavano in base a quanto tempo la coperta rimaneva sulle fiamme: sollevata a particolari ritmi, creava forme diverse di volute per messaggi diversi. In tanti poi, grazie ancora a Tex Willer e Kit Carson, hanno imparato a codificare un metodo ancora più basilare dei segnali di fumo, ossia quello delle “colonne” di fumo: avvistare una singola colonna di fumo indicava agli appartenenti della tribù “il campo è qui”, vedere due colonne indicava una richiesta di “aiuto”, tre colonne indicavano che c’erano “buone notizie”, quattro colonne era la chiamata generale per la quale tutti dovevano presentarsi al Consiglio della Tribù. Segnali di fumo, ma anche segnali eseguiti con le coperte o con gli specchi, o determinati dal movimento del cavallo e del cavaliere: mezzi talmente collaudati e conosciuti dalla gran parte delle tribù indiane che si potevano trasmettere informazioni importanti e ben dettagliate senza emettere un solo suono. Un piccolo saggio della ricca e affascinante civiltà dei Nativi americani.

 

Fonte: Tutto Tabacco