facciamo finta che sia vero

Adriano Celentano: il mutuo, la bellezza 

La bellezza è nelle pietre”. Davvero? Ma chi l’ha detto? Adriano Celentano. Quando il molleggiato ha pubblicato a fine novembre Facciamo finta che sia vero, non si può dire che il mondo musicale si sia impressionato più di tanto. Nove pezzi, con un po’ di collaborazioni eccellenti (Jovanotti, Manu-Chao, Franco Battiato con il filosofo Manlio Sgalambro, Raphael Gualazzi, Nicola Piovani…), nessuna perla, un po’ di routine e di divertimento per un prodotto che comunque ha venduto benino, visto l’asfittico mercato italiano della canzone, così legato nel bene e nel peggio ai personaggi veicolati e lanciati dai talent-show del piccolo schermo. Un disco “fortemente politico”, l’aveva definito lo stesso Celentano, coccolato da chi cavalca il tema “indignazione” per gli sprazzi di coscienza sociale “terra terra” (e proprio per questo sempre efficacissima) che Adriano getta nella mischia.

Cantato bene anche quando il pezzo non è da applausi (Ti penso e cambia il mondo), il cd contiene pezzi intriganti (Anna parte e Non so più cosa fare forse sono le migliori) e si chiude con Il mutuo, canzone scritta dallo stesso Celentano che contiene una favolosa provocazione finale, puntualmente snobbata e sottostimata. La canzone ruota attorno allo sfaldamento del benessere e del benpensare economico dell’era nostra faticosa, al mutuo come unica speranza di noi tutti più o meno indebitati nei confronti del futuro. Arrangiamento contaminato, con orchestra e chitarre elettriche, campionamenti e un po’ di pop nostalgico, tra anni ’60 e nuovo millennio messi insieme, con quell’inglese maccheronico e onomatopeico che aveva fatto la fortuna di Adriano già nel celeberrimo Prisencolinensinainciusol.

Il mutuo, giocoforza, è stato ben saccheggiata tra interviste e recensioni, visto che non mente sullo stato di crisi e sulla necessità da parte di tutti di rimboccarsi le maniche per evitare il salto nel baratro: “rinunciando a qualcosa, per primi gli industriali, se non lo faranno, i padroni ricchi falliranno, è inutile poi andar in Cina, in cerca di un nuovo profitto, E’ solo questione di tempo, verrà il giorno che pure la Cina si inceppa…”.

E’ stato scritto e detto: Adriano indignato, Adriano come Grillo, Adriano in piazza. Diciamo pure che Celentano è storicamente il primo dei musicanti indignati, dai tempi dell’Albero di trenta piani, dai tempi di Chi non lavora non fa l’amore (“Dammi l’aumento signor padrone, così vedrai che in casa tua e in ogni casa, entra l’amore”), dalle serata belle e folli del re degli ignoranti a Fantastico 8 in un lontano ma strepitoso anno 1987. Indignazione divertita, ecologista, religiosa, infarcita di antico buon senso e di eticità apparentemente superata. Che Adriano sferzi, non è insomma una novità, è cronaca.

Però quando lo fa, il “Celebre” non è mai puramente distruttivo, così anche in questa canzone ad un certo punto tira fuori il coraggio con cui guardare avanti: “serve solo un po’ di coraggio per davvero ricominciare, e ridare un volto alle città, quartieri e piccoli artigiani, su per gli antichi selciati, dove l’arte e la cultura, affondan le loro radici”. E’ uno dei suoi temi caldi, ma fin qui è una “solita” canzone di Celentano, interessante e carina, ma senza nulla di eccelso.

E invece ecco la “svolta finale”: come nelle sue trasmissioni televisive, quelle che gli han fatto fare tante volte la figura del predicatore catodico, Adriano cala l’asso. Un lungo parlato con sottofondo di archi che mette tutti a tacere:

 

Ma l’unico Boom che ci potrà salvare 

E’ solo il Boom, il Boom della bellezza 

E allora l’Italia sarà bella come una volta 

Senza più nessuno che vuole dividerla, spaccarla, invocare la secessione 

E la gente sarà felice perché avrà qualcosa da amare 

qualcosa che è dentro il proprio DNA… la bellezza 

La bellezza di un Italia unita, dell’ambiente, 

di come sono fatte le case, la belleza della gente che si 

incontra nelle piazze, 

nei bar, nei piccoli negozi. 

La bellezza delle cose fatte a misura d’uomo dove la corruzione 

e la violenza non possono attecchire, perché sarebbero 

troppo esposte. 

Quella bellezza che è dentro di noi, fin dalla nascita 

e ci tiene saldamente attaccati alla verità 

poiché nasce dalla verità e non ci permette di fare 

cose di cui vergognarsi, 

perché la bellezza è ovunque: nell’uomo, nelle donne, 

nei vecchi, nei bambini, nelle pietre. 

Anche se i partiti e i governi arraffoni di tutto il mondo 

dopo il famoso Boom economico… 

l’hanno mezza massacrata… 

Ma noi possiamo ricominciare, 

e fare le cose da capo, 

perché lei è lì 

è lì che ci aspetta 

fin dalla notte dei tempi”

adriano celentanoRicominciare si può, ammettendo che la bellezza è anche nelle pietre. Reagire a partire da quella “bellezza che è dentro di noi, fin dalla nascita, e ci tiene saldamente attaccati alla verità”.

Brivido. Non per la melodia riuscita o per l’intonazione o per un buon riff di chitarra, ma per il senso stesso delle parole dette. Forse abbiamo ancora bisogno di Celentano e dei suoi dischi. Anche di quelli meno riusciti. Senza scomodare il principe Miskin….

 

Walter Gatti

www.risonanza.net 

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