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Gli U2: l’infinito e la non-separazione tra il tutto e il presente 

L’infinito è un gran posto da cui prendere l’avvio”: così dice Paul Hewson, cioè Bono, cioè gli U2. L’infinito.

 

 

Dietro il titolo del nuovo lavoro della band irlandese, No line on the Horizon c’è questa chiave, l’infinito. Un’orizzonte senza una linea che definisca e demarchi cielo da terra, mare da cielo. L’infinito che è nel cielo – da sempre metafora dell’eterno, della purezza, del tutto – ma che non è distinguibile dalla terra, dalla realtà, dal giorno dopo giorno. E’ questa la chiave di questo tredicesimo album della band più famosa del rock planetario? Potrebbe essere, anzi: è!

La frase che ho riportato, Bono l’ha detta a Sean O’Hagan giornalista del Guardian ed è senza mezzi termini. E Sean mi pare la riporti con tipica precisione britannica: ne parlo perché il racconto che il giornalista ha fatto della nascita di questo disco è quanto di più bello e “propedeutico” mi sia capitato di leggere da molto tempo a questa parte. O’Hagan ha seguito la band in diversi momenti della nascita del disco (tutto il suo racconto lo trovate qui: http://www.guardian.co.uk ), ne ha riportato le giornate di produzione e di stasi, gli incontri con Brian Eno e Daniel Lanois (i due produttori: a tutti gli effetti quinto e sesto elemento della band) e i dialoghi con i quattro U2, vale a dire Dave Evans (chitarre, 1961), Larry Mullen (batteria, 1961), Adam Clayton (basso, 1960), Paul Hewson (voce e chitarre, 1960).

Chi ha interesse verso questi quattro musicisti e verso questo nuovo disco, si può abbeverare senza ritegno alla “storia vera”, poi si immerga pure nell’ascolto. E immergendosi una cosa è evidente: No Line on the Horizon (uscito il 27 febbraio, data del mio compleanno) è il disco di un gran ritorno degli U2 dopo due dischi “debolucci” (a dir poco) come All that you can’t leave behind (2000) e How to dismantle an atomic bomb (2004).
Per chi, come me, ha ascoltato a bocca aperta dischi come The Joshua tree (1987) e Achtung Baby (1991), la speranza di una prova concreta di ritorno ad alti livelli compositivi è stata ovviamente forte. E il risultato è notevole. Dodici canzoni, con alcune perle: White as a snow, che potrebbe essere una ballata folk celtica con una sovrastruttura elettronica; Magnificent, che s’apre con una chitarra che pare presa dai Black Sabbath e s’evolve subito a sorpresa verso l’elettronica di Brian Eno, ma con un sostegno di batteria che la porta verso i territori dei bei tempi andati; Unknown caller, un rock dalla spinta corale, con lo spirito del popolo che soffia sul ritmo e per finire il capolavoro (forse…): Moment of surrender, andamento epico, lento, molto tastieristico, una canzone da brividi dove Bono canta divinamente come fosse un cantante soul – e in effetti lo è, prestato al rock, contaminato, influenzato e capace di ruminare e rimasticare mille influenze facendole personalissimamente proprie.
Le altre otto canzoni del cd sono inferiori, ma comunque di media alta: la title track ha un ritmo incalzante, una veemenza chitarristica da “U2sound” (è The Edge a condurre la direzione di marcia) e voce spiegata, al pari di Breathe, anch’essa con chitarre e voce in gran spolvero; notturne sono le atmosfere di Cedars of Lebanon, una cronaca giornalistica in musica sostenuta da chitarre clamorosamente lanoisiane, mentre anche il singolo di buon mestiere, Get on your boots, ha dentro un po’ di tutto, psichedelica e Moby, Beatles e Fatboy Slim. Insomma: mica male gli irlandesi formato 2009. Ma non finisce qui, troppo facile: dagli U2 non ci si aspetta “solo” musica. Associata alla speranza di un prodotto musicalmente importante, ci sono altre domande che mi sono posto più o meno coscientemente come appassionato di vita prima ancora che di musica.

Stiamo parlando di gente che ha scritto Sunday Bloody Sunday e One, Wake up dead man e I still haven’t found e la domanda principale oggi è: ma può venire ancora qualcosa di buono dagli U2 come in genere dalle superstar del rock? Ci sono ancora tracce di umanità in gente abituata a una vita che comunque vada è di fama, dollari e lustrini? E’ possibile per ‘sta gente una vita non di plastica? C’è ancora spazio per le domande che sono di tutti gli uomini? La risposta è ricca: sì, c’è ancora vita sul pianeta-U2 (con Bono a scrivere tutti i testi). C’è vita quando una canzone declama “Conosco una ragazza con un buco nel cuore/ lei dice che l’infinito è un ottimo luogo per iniziare” (No line on the horizon). C’è vita quando Unknow caller racconta dell’uomo che sul luogo più avanzato dell’universo si siede in attesa di ritrovare se stesso e di poter “parlare di nuovo”. C’è vita quando si anela a un luogo, a una terra “bianca come la neve” per noi che portiamo impressi i volti di tutte le persone che non conosciamo. L’antica spinta a confrontarsi con il totalmente altro continua, con “il momento di abbandono in cui giaccio sulle mie ginocchia”, mentre una canzone intera, Magnificent suona così vicina a Magnificat da lasciare aperte le mille solite domande sul senso profondo dell’adesione profonda e personale al cristianesimo di Paul Hewson-Bono.

In questo senso è stupenda la risposta di Bono alla domanda sul rapporto tra U2 e cristianesimo: “la gente dice che molte band iniziano cantando di ragazze e poi vanno a finire a parlare di Dio, mentre noi parliamo di Dio e poi finiamo a parlare di ragazze. Chi mi dice così la mia risposta per le rime è che noi troviamo Dio anche nelle ragazze….”.

Un poker di canzoni stupende, una qualità totale decisamente sopra la media soporifera della musica che gira intorno: si conquista un buon posto nelle classifiche degli amanti del rock, questo No line on the horizon, che nella discografia degli U2 finisce vicino alle vette dei migliori prodotti della band. E adesso? Che succede ai quattro di Dublino? Promozione mondiale, tour, videoclip, tormentoni. Si, ma non solo: parola finale ancora al Bono del Guardian: “forse entro fine anno usciremo con un disco con gli outtakes da questo album. Però sarà diverso: potrebbe essere un disco sul tema del pellegrinaggio”. Stiamo a vedere.

 

 

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Walter Gatti
www.risonanza.net