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La prima testimonianza certa dell’esistenza delle pipe in terracotta a Chioggia è datata da un reperto che porta l’iscrizione di una data 1655. Ma senz’altro qualche decennio prima a Chioggia l’attività era già viva. Costruita con l’argilla del fiume Po, la pipa fino alla metà del 600 era un oggetto molto semplice, in terra rossa. Il secondo periodo fino alla metà del 700 vede maggior raffinatezza nella forma con fregi di varia natura e l’introduzione della smaltatura. Il terzo periodo inizia con la metà dell’800. le pipe non vengono più smaltate e la terra, trattata con l’acqua salata assume, una volta cotta, il caratteristico giallo avorio. La lavorazione è accuratissima. Le pipe diventano piccole sculture. La colorazione é forse un vezzo nel periodo della decadenza ma anche, come pensano gli esperti, un accorgimento per evitare di scottarsi tenendo in mano la pipa. Le ricerche testimoniano di grande quantità di scarti di fornace (segno di una produzione locale) trovate per imbonimento degli argini o delle strade. Molte pipe usate sono state trovate anche sul fondo della laguna da pescatori. Esisteva anche la possibilità (ed esiste tutto ora) di rigenerare la pipa di terracotta, impregnata di tabacco. Alcuni muratori trovarono delle pipe sui tetti. Si trattava di pipe già usate, lasciate ai lati degli abbaini, sul coppo di conversa, perché sole e pioggia sciogliessero gli umori del tabacco, consentendo così di riutilizzare la pipa. Indispensabile per la pipa chioggiotta la “canna”, il bocchino di legno. Per gli intenditori non può essere che in legno di marasca (ciliegio). I vecchi fumatori facevano di più: mescolavano al tabacco alcune foglie di marasca tritate. Una raffinatezza. Unica delle pipe in terracotta, quella chioggiotta, ha quasi sempre tre fori sul fondo della caldaia. Gli esperti sostengono che potrebbe trattarsi di un espediente tecnico per evitare che il tabacco otturasse un unico foro. Nel 1765 a Londra, inviati della Serenissima scoprirono della creta che credevano eccezionale. Inviato con tutta cura a Venezia un esemplare e fatto analizzare risultò inferiore alla qualità della creta del Po. I Chioggiotti risposero con orgoglio che avrebbero continuato così come sempre era stato fatto. Alla fine dell’800 costava, a seconda della bellezza, uno o due centesimi. Si vendeva separata dalla “canna”, il bocchino, che costava un centesimo. Un documento del 1891 parla di una produzione di 11.300 pipe al giorno, costruite dalle sei fabbriche esistenti. Lo stesso documento fa anche il calcolo della produzione annua. 4.680.000 pipe. Un dato eccessivo, improbabile, dicono gli studiosi, anche se Chioggia esportava un po’ dappertutto le sue pipe.

 

Particolarmente importante è che la pipa chioggiotta con il suo potere assorbente dà un fumo depurato da catrame e nicotina. Fumare una pipa in terracotta è fumare soltanto tabacco. E’ assodato che nella pipa chioggiotta va fumato un tipo di tabacco che più piace e non soltanto tabacco robusto, probabilmente, i nostri vecchi, se avessero avuto la possibilità non avrebbero sicuramente disdegnato un tacco inglese … La pipa buona, alla prima fumata, non necessita di alcun rodaggio e forma poca crosta, perché essa stessa ha la funzione di una vera e propria crosta dato che il materiale è cotto a temperatura talmente alta da non contenere alcuna traccia di materia organica e combustibile che possa alterare il sapore del fumo, come succede per la pipa di legno.

 

La pipa chioggiotta oggi

Gli australiani hanno chiesto di vederla e provare a fumarla. Negli U.S.A. per i raffinati è un segno di distinzione. In Europa, svizzeri, tedeschi, ed inglesi e recentemente anche gli spagnoli hanno cominciato a mostrare interesse crescente. La pipa chioggiotta sta ritornando, lentamente, in possesso della fama che ebbe per tre secoli, ai tempi della Serenissima Repubblica Veneziana. Artefice di questa [filefield-onlyname-original]impresa è Giorgio Boscolo, artigiano e artista, l’unica persona a Chioggia che costruisce le pipe così come erano fatte nel 1600.

Dopo il 1945, dice, morto l’ultimo piparo della città non ci fu più nessuno che si preoccupò di conservare la tradizione.
Di sicuro, mancò la domanda.

 

La sigaretta soppresse in poco tempo l’antica usanza chioggiotta della pipa in terracotta.
I magazzini di alcuni tabacchini durarono anni a smaltire le scorte. Chioggia perse comunque una delle sue più storiche tradizioni. Le pipe, certo, si continuavano a fare, ma in altre zone, oggetto solo per pochi amatori. Poi, intorno al 1968, dopo aver fatto decine di lavori, Giorgio Boscolo si innamora della ceramica. Un corso di tre giorni con alcuni amici per capire i segreti della cottura e l’impresa prende il via. Prima con timore, poi con crescente passione. Ho frugato per tutta la città, commenta l’unico piparo ora in attività a Chioggia, trovato vecchi stampi, scoperto intere scatole di pipe nei magazzini o in qualche abitazione, le sue pipe in poco tempo, prendono piede. Non sono solo oggetti, ma pipe pronte per fumare. Però, confessa Boscolo, molte signore ne comperano a mazzi, da sistemare come bouquet di fiori colorati, in un vasetto di ceramica. Qualcuno le usa in serie per appenderle come quadri al muro. Per fumatori o per esteti, la pipa chioggiotta, in poco tempo, ha fatto il giro del mondo. Ne costruisco [filefield-onlyname-original]5-6 mila all’anno, sostiene Giorgio Boscolo, anche se le richieste sono più elevate. Ma non voglio lavorare di più, mi mancherebbe il tempo di andare in giro a raccogliere i cocci di ceramica sparsi per le terre di Chioggia. Boscolo, in pochi anni, è diventato infatti anche uno dei maggiori studiosi della zona, ha raccolto e catalogato migliaia di pezzi di terracotta e ceramica, i segni, come lui dice, di una civiltà. Adesso cerca di darsi da fare per aprire in città un museo della pipa e della ceramica. Era un’attività che la Serenissima riservava per sé, per i suoi bocalieri (costruttori di bocali). Considerava un’attività minore la fabbricazione delle pipe e l’ha, quindi lasciata senza problemi di perdere la sua egemonia a Chioggia. La città ha, quindi, sempre importato le altre ceramiche. Voglio mettere a disposizione del pubblico la mia collezione, afferma Giorgio Boscolo, se nascerà un museo non ci sarà certo problema per trovare materiale per riempirlo.

 

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