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Una città nella città dove lavoravano tremila operaie. Gli 80 mila mq sono stati lottizzati diventeranno residenze, un hotel, un asilo e il centro sperimentale di cinematografia

Da queste parti le bionde hanno un profumo speciale e passeranno gli anni ma nessuno qui prenderà mai sul serio un “vietato fumare”. Al 121 di viale Fulvio Testi caratteri cubitali e maiuscoli recitano ancora ben chiari sul marmo “Manifattura Tabacchi”. È l’ingresso al grande stabilimento che per cinquant’anni è stato il faro italiano dell’industria del tabacco. Una città nella città, 80mila metri quadrati di archeologia industriale coagulati attorno al business della sigaretta, oggi al centro di un’affascinante trasformazione in bilico tra il cinema e la riqualificazione urbana.

La storia tra Milano e la favolosa pianta arrivata dal nuovo mondo ha radici antiche. Era il 1637 quando Ferdinando II d’Asburgo istituiva a Milano la “Regalia del Tabacco”. La prima sede per la lavorazione dell’esotica spezia sorse di fianco al castello daziario di Porta Nuova e nessuno allora sospettava il successo dell’impresa. In tre secoli il piccolo nucleo originò un distretto, una fabbrica chiusa tra via San Marco, via Moscova e corso di Porta Nuova. La Regia Manifattura Tabacchi di via Moscova, civici 2226, battezzò i milanesi al tabagismo accompagnando le evoluzioni del prodotto. Sigari, tabacco da pipa e infine sigarette.

Ma già agli inizi del ‘900 la storica sede divenne problematica. Troppo difficile l’approvvigionamento in una zona centrale. Così nel 1927 il Demanio acquistò a nord di Milano dei terreni e nel 1929, con il chiaro intento di trasferire qui la manifattura, costruì due magazzini per i materiali greggi. Sei piani di cemento armato affacciati su viale Suzzani, cattedrali dagli enormi pilastri capaci di sostenere una tonnellata per metro quadro. Nel 1939 il demanio ottenne il raccordo alla ferrovia e al complesso si aggiunse una specie di stazione, il deposito di generi di monopolio, comodo sbarco per le merci. A sveltire la trafila ci pensarono i bombardamenti, che rasero al suolo l’antico stabilimento.

Nella febbre della ricostruzione vennero realizzati in serie gli edifici della nuova manifattura. La centrale termica con la sua svettante ciminiera, le officine meccaniche, il fabbricato per la lavorazione e poi la bocciofila e la sala materna. Sono invece degli anni successivi l’apertura dell’asilo e il fabbricato per la torrefazione. A dare il carattere dell’intera architettura è l’ingresso, un edificio del 1954 che un anonimo tecnico del demanio concepisce in stile razionalista, un pezzo di fascismo sfuggito alla storia. È quello dei caratteri cubitali, due piani geometrici e severi. Di fianco alla scritta il leone, logo inconfondibile del monopolio di stato, sotto il portico dell’androne un mosaico di Pietro Cantù del 1956 che celebra la filiera. Foglie grezze, poi le mani delle operaie e infine viaggiatori che nella cabina di un aereo ricevono dalla hostess sigarette omaggio. Altra civiltà, ma la vera forza della storia è nelle mani delle operaie, una locomotiva rosa capace negli anni ruggenti di lavorare fino a 10 tonnellate di tabacco al minuto.

[filefield-onlyname-original]Per scostolare e rollare le foglie di Kentucky, Perustizia, Santiacà, Tonga e altre varietà niente eguagliava la precisione e la rapidità della manualità femminile. Si dice che ad alleggerire il fastidio dei quasi 100 decibel di rumore costante fosse il coro delle operaie, ispirate dalla centralinista incaricata di scegliere la musica. Una città nella città di 3000 anime con la sua mensa, i suoi spogliatoi, il suo circolo ricreativo aziendale che dai bambini alle feste comandate provvedeva alla vita extra lavoro degli impiegati. Sorvegliati con perizia militare. Niente entrava o usciva, troppo alto il rischio di furti di sigarette e valori bollati. Severissime erano le perquisizioni: il fabbricato di lavorazione, dove finivano i materiali sequestrati, era detto Ex Contrabbando.

La seconda vita di questo tempio del lavoro pare piuttosto affascinante. Smessa la produzione nel ’99, nel 2002 il demanio affida l’area a Fintecna, finanziaria del ministero. Pirelli Real Estate è incaricata della lottizzazione, il progetto per la riqualificazione è affidato allo Studio Canali. Fuori aspetta la fermata già pronta della linea 5 della metro ed entro il 2016 all’ombra della ciminiera i magazzini e i capannoni oggi vuoti saranno residenze, un supermercato, un albergo, un asilo e un po’ di verde.

Per ora tutto è un deserto preda di piante pioniere pieno di storia, che il Fai ha già aperto due volte per visite guidate. E i due piani dell’edificio razionalista sono da un anno la sede lombarda del Centro Sperimentale di Cinematografia. Specializzata in fiction e cinema industriale, per ora forma quaranta ragazzi destinati a diventare settanta e attende per l’anno prossimo anche un corso con Giancarlo Giannini. Sala proiezioni, aule di montaggio, uno stupefacente teatro di posa, il progetto del nuovo centro firmato da Guido Canali ha appena vinto il Premio Piranesi Prix de Rome per l’architettura archeologica. È uno spazio aperto, luminoso, ma gli studenti girano moltissimo nel vuoto lasciato dalle operaie che sembra un set di Cinecittà, tra il western e l’apocalisse postatomica. All’ultimo piano, sopra la scritta manifattura, da segnalare l’attico di rappresentanza da cui Francesco Alberoni, presidente della scuola, sorveglia senza fumare.

Fonte: RepubblicaMilano